Alina
Lo sguardo della piccola Alina si posa contro il muro screpolato davanti a lei. Il visore che indossa corre come un anello attorno alle tempie e alla nuca fino a fasciarle completamente gli occhi con la sua superficie in cristallo brunito.
È un modello che ormai ha qualche anno e avrebbe bisogno di manutenzione. Le immagini virtuali che il visore sovrappone agli oggetti reali a volte laggano e così ora Alina allunga la mano per toccare il volto del piccolo angelo dipinto sul muro e affonda le dita per qualche centimetro nella parete prima di sentire il fresco dell’intonaco, come se quell’immagine galleggiasse sulla sua superficie. E quando il coprocessore grafico si mette a fare le bizze come oggi succede anche che la coordinazione tra i movimenti della testa e i contenuti visivi prodotti dal visore lasci un po’ a desiderare facendo in modo che mentre Alina si volta per dirigersi alla poltrona alla sua destra la parete su cui è dipinto il piccolo angelo per qualche istante la segua prima che lei possa vedere la nuova porzione di spazio che si trova davanti.
Ogni tanto, poi, l’immagine sovrapposta agli oggetti reali salta per frazioni di secondo, svelando forme e ambienti come sono nella loro realtà effettiva, ma Alina riesce a non farci più caso, come se il suo cervello si fosse abituato a scartare i frammenti di realtà che lei non vuol vedere fornendole un’illusione completa e fluida di quello che il visore dovrebbe produrre. Ha anche imparato a non interagire con gli oggetti illusori che il visore crea nello spazio, quegli oggetti e quelle figure che non si sovrappongono a nulla ma che si materializzano nel suo campo visivo come fantasmi tridimensionali, fissi o in movimento: il peloso gatto bianco che giocherella col suo gomitolo, il mappamondo luminoso nella sua rotazione perpetua, e poi, i suoi genitori. Lei li guarda, gli parla anche. Le limitazioni del programma di immagini virtuali concedono solo un’interazione minima con sua madre e suo padre e Alina si è educata a rapportarsi a loro attraverso quei limiti, evitando di parlargli se non con quegli argomenti per i quali sa che può ottenere risposte, e eludendo ogni contatto fisico. Ma in cambio ha la sensazione che loro siano ancora là, che sua madre possa sorriderle come sta facendo ora mentre le passa davanti.
Oggi Alina è più debole che mai. Prova ad alzarsi dalla poltrona ma deve prendere fiato prima di farlo. Lo fa con lentezza e si dirige stancamente verso la cucina scorrendo con lo sguardo il pavimento di legno lucido mentre i suoi piedi nudi e anneriti si trascinano lungo le piastrelle sbeccate. Entra in cucina e guarda il tavolo bianco con la tovaglia in lino decorato su cui sono disposti vasetti di marmellata aperti. Ne raccoglie uno e lo annusa. È una lattina di cibo conservato vuota. Vuota come tutte le altre che ingombrano il tavolo sporco dei resti di cibo rinsecchiti. Alina sorride sentendo il profumo della marmellata di arance. Questa dimensione olfattiva è qualcosa che riguarda solo lei, qui il visore non c’entra. Posa il vasetto ed esce. Attraversa il corridoio dai muri gonfi di bolle d’umidità e raggiunge la camera da letto dei suoi genitori. Si sdraia e resta immobile.
Alina non toglie mai il visore, lo dichiarano le strisce di sporcizia annerite nei punti di contatto tra il dispositivo e il suo volto. Osserva il soffitto da cui pende il lampadario di cristallo che scintilla sotto i raggi del sole che entrano dalla finestra. Sente la voce di sua madre chiamarla e le sue labbra mormorano qualcosa come risposta. Sorride. La bocca trema ogni volta che lo fa, come se anche quel movimento fosse una sforzo troppo grande per lei.
Ora al lato del letto siede sua madre. Le accarezza la fronte. Era tanto che non sentiva il suo contatto e trova la forza per muoversi. Cerca di toccare la sua mano e incappa nel visore. Lo sfila piano dagli occhi e lo lascia cadere accanto a sé, sul materasso ingrigito. Nulla è cambiato davanti al suo sguardo. Il sole continua a riflettere la sua luce contro il cristallo del lampadario e sua madre è lì. Gli occhi di Alina si fanno liquidi e sorride ancora. Periodicamente batte le palpebre guardando sua madre che le parla mentre continua ad accarezzarla. La sua felicità è dolce e disperata come l’espressione del suo viso.
Sua madre le racconta di quello che faranno oggi. Le dice che dovranno prepararsi e andare a fare la spesa e poi dovrà aiutarla per il pranzo. Alina mormora un sì. I suoi pensieri raccolgono già le immagini del pranzo con i suoi genitori, poi piano si sfumano, affondano in una luce chiara, svaniscono. Le sue palpebre sono immobili ora, e fissa lo sguardo contro il soffitto screpolato sopra di sé mentre sorride.
Luigi Saravo