Crowd4Africa, dai tappi alle protesi con la stampa 3D
Abbiamo intervistato Gianpiero Guerrieri, del team di professionisti che assieme agli studenti dell’Istituto M. Massimo di Roma hanno dato vita a Crowd4Africa, il progetto che permetterà a due ospedali africani di produrre autonomamente protesi e ricambi con la stampa 3D.
Il team di Crowd4Africa ce l’ha fatta: la prima mini fabbrica con destinazione Uganda è partita il 4 Agosto per l’ospedale di Lacor e presto sarà la volta del Centro Caritas di Kenge (Congo).
I due centri potranno diventare autonomi nella produzione di protesi per arti e pezzi di ricambio e lo faranno a partire dalla lavorazione dei tappi, difficili da smaltire e per questo presenti in enormi quantità in quelle zone. Una innovazione dirompente, se si considerano il costo (basso) e l’impatto sociale (alto).
Abbiamo intervistato Gianpiero Guerrieri, membro del team di progetto e della Onlus Global Health Telemedicine.
Da chi è partita l’iniziativa?
Tutto è partito dall’Istituto Massimo di Roma, che ogni anno avvia progetti educativi extra-scolastici per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro insegnando concetti come il team building e il project management. L’obiettivo di quest’anno era inventare qualcosa che potesse essere d’aiuto alle popolazioni africane, rendendole autonome nella produzione di protesi o di oggetti per uso quotidiano.
Un’idea semplice con una forza dirompente …
Le idee che nascono in brainstorming, siamo partiti da una traccia ma erano i ragazzi a doverla sviluppare attraverso i coach. Sono loro i protagonisti. Dopo il brainstorming iniziale il progetto è stato strutturato in fasi. La possibilità di successo era subordinata alla disponibilità delle attrezzature ma le stampanti 3D erano care, pur essendoci in parte auto-tassati non ce la facevamo.
Come avete superato il problema?
Abbiamo deciso di costruircele da soli, per farlo abbiamo realizzato un corso di costruzione delle stampanti in orario extra-scolastico. Abbiamo preso una stampante (da 700 pezzi) da assemblare, per poter insegnare ai ragazzi i principi della meccanica e ampliare il progetto educativo, che ha coinvolto poi anche i bambini delle scuole medie: il progetto doveva essere open source, accessibile a tutti. Vedere ragazzi così giovani avere dimestichezza nel parlare di misure ed elettricità è stato fantastico. Una volta costruite le stampanti, abbiamo iniziato con le prove.
È nata prima l’idea di stampare in 3D e poi quella di utilizzare i tappi per farlo?
L’idea iniziale era un progetto con impatto sociale da realizzare in 3D. Il progetto prevede il riciclo di plastica dei tappi che solitamente non vengono smaltiti (in Africa, in particolare), è un materiale che -se mi passi il termine- è diventato una materia prima. Abbiamo cercato di capire come si poteva partire dal tappo per farlo diventare oggetto. Abbiamo escogitato un meccanismo per cui i tappi vengono messi in un trituratore che riduce in scaglie la plastica (solo i tappi, perché le bottiglie non sono adatte e producono sostanze tossiche).
Che tipo di protesi stampate? Le avete collaudate?
Qualsiasi arto, stampiamo anche tutori. I disegni provengono da siti internazionali che producono protesi (ad esempio negli USA), ce ne sono moltissimi online e sono open source.
Crowd4Africa ha attirato l’attenzione di media nazionali e internazionali, siete stati ricevuti dal Papa: tutto questo riscontro ha portato ulteriore sostegno economico?
Si. Abbiamo lanciato l’iniziativa di crowdfunding sulla piattaforma Eppela con un evento al Teatro Massimo: dovevamo recuperare ventimila euro in 40 giorni per attivare un centro in Africa (calcolando trasporti tasse, computer, gps, etc..) invece ne abbiamo racimolati oltre sessantamila. Questo ha permesso di variare il contenuto dei pacchetti, aumentando la qualità delle attrezzature per avere maggiori garanzie di successo, e di includere il secondo centro.
Ad oggi i due centri verranno dotati delle apparecchiature, e abbiamo anche denaro in più per gestire incidenti e imprevisti. Si sta pensando di dare continuità al progetto. Si andrà quindi oltre l’intervento educativo. Ad esempio nell’area di Kyenge un’altro centro urbano ha chiesto di ricevere formazione. Stiamo cercando di capire come dare seguito all’iniziativa
Assieme alle protesi, si parla anche di pezzi di ricambio. Di cosa si tratta?
Parliamo di protesi perché è la cosa più eclatante, ma l’ONU ha stilato un documento che fornisce indicazioni sui prodotti da stampare in 3D, oggetti di uso quotidiano, piccoli aiuti che possono mette in moto qualcosa di importante.
Adesso che succederà?
Penseremo ad un altro progetto educativo a impatto sociale, ma non abbiamo ancora le idee chiare. La filiera creativa e sociale non si ferma, lo scorso anno è stata la volta dei droni, donati al Papa per la videosorveglianza.
Possibile che nessuno avesse mai pensato a questa soluzione prima di voi?
Non hanno messo insieme i pezzi. Inviavano protesi o stampanti, ma il filo?
Virginia Marchione