L’autodistruzione della Silicon Valley attraverso le elezioni presidenziali statunitensi

Le donazioni per le campagne presidenziali negli Stati Uniti decretano un tentativo di autodistruzione della Silicon Valley.

La prima cosa da dire, probabilmente, è che il corrente assetto delle aziende della Silicon Valley fa in modo che colossi come Google, Facebook, Amazon e compagni siano in grado di determinare l’ordine mondiale.

Questi giganti sono i padroni dei dati, sono coloro che sono in grado di avere le risposte. Significa che per qualunque domanda salti in mente a chiunque e dovunque, da dove comprare un buon stura lavandini a chi era Giuseppe Garibaldi, o a come sono andate le vacanze del vicino di casa, lì si troverà una risposta. E chi detiene le risposte è in grado di orientare le domande e chi, infine, orienta le domande… detiene il potere.

Per approfondire questo triste assunto ci si può affidare alle sapienti mani di un prof italiano che insegna ad Oxford etica dell’informazione: Luciano Floridi, qui. Luciano Floridi indaga, analizza e comunica il rapporto con il digitale attraverso una visione lucida e senza fronzoli e vale la pena starlo a sentire.

Tornando al potere esercitato c’è da dire che nonostante la buona volontà di Jeff Bezos & Co. Le cose in termini di correttezza non vanno molto bene nella valle e a questo proposito scioriniamo qui sotto una sintesi a cura del New York Times sulla faccenda:

Amazon

L’azienda utilizza il proprio potere di mercato sia come più grande rivenditore online che come principale mercato di e-commerce a proprio vantaggio e per ostacolare potenziali concorrenti. Amazon stabilisce le regole per il commercio digitale. Circa 2,3 milioni di venditori di terze parti fanno affari sul mercato Amazon in tutto il mondo, afferma il rapporto, e il 37% di loro fa affidamento su Amazon come unica fonte di reddito, rendendoli essenzialmente ostaggio delle tattiche mutevoli di Amazon.

Amazon raccoglie i dati sulle vendite e sui prodotti dal suo mercato per individuare gli articoli più venduti, copiarli e offrire i propri prodotti concorrenti, in genere a prezzi inferiori. Un ex dipendente di Amazon ha detto agli investigatori della Camera: “Amazon è prima di tutto una società di dati, semplicemente li usano per vendere cose”.

Nel cloud computing, dove Amazon Web Services è leader di mercato, l’azienda ha trattato ingiustamente alcuni sviluppatori open source, il cui software è spesso condiviso liberamente. Un ingegnere open source ha affermato: “Sviluppiamo tutto questo lavoro e poi arriva una grande azienda e lo monetizza”.

Apple

Apple ha il monopolio del mercato delle app su iPhone e iPad, consentendo all’azienda di tagliare eccessivamente le vendite degli sviluppatori di app e “generare profitti sovraordinati”. Apple ha addebitato una commissione del 30% sulle vendite di molte app da quando ha introdotto la commissione più di dieci anni fa, costringendo molti sviluppatori ad aumentare i prezzi per i consumatori o ridurre gli investimenti nelle loro app.

Apple ha usato il suo controllo sull’App Store per punire i rivali, anche classificandoli più in basso nei risultati di ricerca, limitando il modo in cui comunicano con i clienti e rimuovendoli completamente dal negozio. Apple è l’unico difensore delle regole a volte opache dell’App Store, lasciando agli sviluppatori poche opzioni per lamentarsi.

Apple predilige le proprie app e servizi sui propri dispositivi preinstallandoli e utilizzando le opzioni predefinite per una varietà di azioni. Ad esempio, quando gli utenti di iPhone fanno clic su un collegamento a una pagina Web, una canzone o un indirizzo, i loro dispositivi apriranno in genere le app Apple. Un tale vantaggio, combinato con la profonda integrazione dei servizi nel software Apple, rende difficile la concorrenza tra app e servizi di terze parti.

Facebook

Il potere di monopolio di Facebook nel social networking è “saldamente radicato” e la società ha eliminato i concorrenti attraverso acquisizioni strategiche e prodotti di copia. Servizi come Onavo, una società di analisi dei dati acquisita da Facebook, hanno aiutato la società a individuare i segnali di “allerta precoce” su potenziali concorrenti in rapida ascesa nell’app store.

L’azienda è diventata così potente che i risultati interni suggeriscono che la sua più grande concorrenza esiste al suo interno. Servizi come Instagram, di proprietà di Facebook, sono cresciuti così rapidamente da minacciare di superare la popolarità di Facebook. Mark Zuckerberg ha cambiato rapidamente la sua strategia, in quella che un dipendente ha definito “collusione, ma nell’ambito di un monopolio interno”.

A causa dell’assenza di concorrenza, la privacy degli utenti è stata erosa mentre disinformazione e contenuti tossici sono proliferati in tutti i servizi dell’azienda, che vengono utilizzati regolarmente da oltre tre miliardi di persone.

Google

Google ha mantenuto il monopolio della ricerca acquisendo informazioni da terze parti senza autorizzazione e senza migliorare i risultati della ricerca. In altri casi, ha introdotto cambiamenti nella ricerca per dare un vantaggio ai propri servizi e svantaggiare le offerte dei concorrenti.

Il comitato ha scoperto che l’azienda fa di tutto per mantenere la ricerca di Google in primo piano e al centro per gli utenti. In passato, ha costretto i produttori di smartphone a installare la ricerca di Google per utilizzare il suo software Android e avere accesso al suo app store di Google Play. Paga miliardi di dollari ad Apple per essere il motore di ricerca predefinito su iPhone e adotta misure per impedire agli utenti di cambiare provider di ricerca su Chrome.

Google ha nove prodotti con più di un miliardo di utenti. Ciò fornisce all’azienda una raccolta di dati che possono essere utilizzati come “intelligence di mercato quasi perfetta” e rafforza il suo dominio perché può tenere traccia dei nuovi prodotti o servizi che le persone utilizzano, in tempo reale, per monitorare da vicino i concorrenti.

Detto questo passiamo al tentativo di suicidio in atto proprio lì dove l’immortalità sembra di casa.

WIRED ha scoperto che i dipendenti di Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft e Oracle hanno offerto contributi a Biden quasi 20 volte di più rispetto a Trump dall’inizio del 2019. Secondo i dati rilasciati dalla Federal Election Commission, che monitora individui che contribuiscono dai $ 200 in su per una campagna presidenziale, i dipendenti di queste sei società hanno contribuito con $ 4.787.752 verso Biden e solo $ 239.527 verso Trump.

Il fatto che Biden raccolga più soldi di Trump dalla tecnologia non è una sorpresa. I leader della Silicon Valley hanno sostenuto la Clinton contro Trump nel 2016 e durante il mandato di Trump i dipendenti di società tecnologiche hanno organizzato diverse proteste politiche contro le partnership dei loro datori di lavoro con l’amministrazione. Ma la cosa interessante è il fatto che la Silicon Valley e le sue aziende stiano scommettendo sulla presidenza di un signore che probabilmente le smembrerà, che ne limiterà lo strapotere e che, in qualche caso, le costringerà a vendere parti del business. Lo indica con chiarezza un rapporto di oltre 400 pagine pubblicato martedì notte dalla commissione del Congresso che indaga su Big Tech.

Ricordiamo tutti l’audizione in contemporanea di Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai e Tim Cook la scorsa estate. Ecco, sono arrivate le conclusioni del Congresso e sono devastanti. Dicono che quel sistema è sbagliato e i parlamentari democratici (non i repubblicani) indicano una serie di misure durissime per far cambiare le cose.

La cosa può sembrare paradossale.

Il fatto che di fronte a una minaccia del genere i maggiori contributi della Silicon Valley arrivino proprio per i pericolosi democratici può sembrare singolare. Ma se si guarda nel dettaglio di quello che abbiamo appena riportato risulterà evidente una cosa: la spinta viene dal basso, viene dai dipendenti, da persone che stanno maturando una visione diversa, che chiedono un cambiamento e non solo in termini politici, ma soprattutto nella struttura di ciò che si trovano ad abitare, nel mondo che li ospita e che nella sua potente, levigata, facciata forse al momento comincia a mostrare delle crepe.

Potrebbe essere solo un sintomo senza troppa importanza, ma è possibile che qui, in questa periferia del comando, si stiano facendo largo nuove idee scaturite da nuove consapevolezze.

Il digitale, la rete, i grandi nomi del web che sono cresciuti in questo territorio senza regole ora si trovano a far parte di un mondo con cui cominciare ad intessere relazioni nuove.

Come per i dipendenti della Valley sta a noi comprendere quello che ci viene chiesto da questi giganti in cambio di servizi gratuiti e dati. Ora, forse solo ora, dobbiamo maturare nuove consapevolezze. Capire, per esempio, che la nostra privacy è la nostra stessa identità e va difesa o quantomeno venduta a caro prezzo. Non è vero che non ci viene chiesto nulla. Veniamo privati di un mercato realmente libero, veniamo privati di un capitalismo equo, veniamo privati della possibilità di scegliere. Sì, lo so che quest’ultima affermazione suona strana. Ma è vero: veniamo privati di diritti. La gift economy su cui si basa la fruizione gratuita dei servizi ci mette in mano dei regali e nessuno può protestare per un regalo. Ma se non posso chiedere, rivendicare, non ho diritti.

Che il movimento di contributi per sostenere le campagne elettorali statunitensi ci possa essere d’aiuto per cominciare a pensare a un nuovo rapporto tra noi e le grandi aziende del web. Perché siamo noi, al momento, il prodotto.

E qui cosa sta facendo Facebook con Luxottica

Luigi Saravo