LIFE EXPLORER stagione 1 ep. 1
Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale denominato LIFE EXPLORER è ormai pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta. Basta aprire il proprio computer, tablet, smartphone, e collegarsi alla LIFE EXPLORER per esplorare nel giro di trenta minuti la situazione in un bar di Caracas, dare un’occhiata ai negozi della Quinta Strada a New York, ed entrare in casinò di Montecarlo. Il mondo è diventato un posto più piccolo o più grande se quello che avviene lontano muove quello che è a noi vicino?
Mark Harris avanza con fare circospetto accanto al muro sbriciolato che sembra fatto di sabbia, degli stessi, minuti, granelli beige di cui tutto, intorno a lui, sembra essere fatto, dalle case alle strade e perfino alle persone su cui un sottile velo beige sembra posarsi senza che nessuno sappia farci più caso, e la faccenda, al di là dell’unità stilistica che conferisce all’ambiente, non sembra avere altri vantaggi per Mark, e Mark, chiuso nella sua mimetica Three Tones Desert con rinforzi in pannelli in fibra di kevlar e in braccio il suo fucile d’assalto M4, non sembra essere decisamente il tipo di persona attenta a questioni d’unità stilistica. Mark sa di essere generalmente ben disposto nei confronti delle missioni di pattugliamento a piedi in luoghi in cui non è desiderato e quindi suppone che il suo malumore sia da attribuire agli occhiali-camera che è costretto a indossare e a tutte le restrittive norme e prescrizioni che l’indossarli comporta. Infatti le piacevoli missioni di pattugliamento che troppo spesso si trasformavano in scaramucce a suon di cartucce M8 da 5,56×45 mm assomigliano alle missioni di adesso come una cena vera al menù che la illustra. È sconcertante che un pluridecorato come lui, affine alla battaglia come un pesce all’acqua che lo ospita, sia costretto a ridursi a fare spot in diretta dell’operato americano in Medio Oriente, con tanto di inchino alle irriconoscibili signore velate e nerovestite che incontra, solo per dare un’immagine rassicurante e pacifica delle U.S. Army al grande pubblico della rete. Ma il senso del dovere insito in Mark gli fa fare quello che deve fare senza battere ciglio, cercando per di più, di consolarsi con l’idea che anche quello, dopotutto, sia un modo come un altro per servire la nazione. Così Mark si ritrova a fare missioni di pattugliamento in posti dove non se ne sentirebbe nessuna necessità che si riducono a passeggiatine tra strade polverose e mercatini pidocchiosi in una versione del soldato americano portatore di pace per famiglie, e adesso avanza nel panorama tinta unita alla testa della sua squadra superando il muro sbriciolato e accedendo a una piccola piazza deserta quando dall’auricolare integrato ai suoi occhiali-camera sente una voce dirgli: “ok, sergente, adesso fermati”. È già successo altre volte che il suo capitano gli parli durante un pattugliamento ma questa volta percepisce da quell’inflessione vagamente pomposa nell’intonazione della voce dell’ufficiale che c’è qualcosa di nuovo nell’aria. “Sergente, oggi abbiamo un record di contatti a quanto pare, e il colonnello vorrebbe dare una bella impressione dei nostri uomini, non mi risponda, è in diretta sul sito e il suo microfono è aperto ma se mi sente e capisce quello che le sto dicendo alzi il palmo aperto della mano davanti a sé e saluti”. Mark interdetto esegue. “Bene sergente, adesso le passerò un signore che fa il regista per la HBO, amico personale del colonnello e nostro ospite, che è qui per aiutarci a dare un po’ di stile alla nostra missione, per cui da questo momento passa lui al comando”. Mark è immobile e mentre ascolta interdetto la voce del suo capitano vede entrare nel suo campo visivo il caporale Connor che non comprendendo perché il suo sergente se ne stia imbambolato a guardare il nulla salutando il niente gli chiede: “tutto a posto?”. Mark annuisce e indicandosi con l’indice l’orecchio un paio di volte fa segno a Connor che gli stanno parlando attraverso l’auricolare. “Sergente Harris mi sente?” dice ora dall’auricolare una voce squillante. Mark agita la mano aperta davanti al proprio campo visivo. “Bene, io sono Richard Bloom e cercherò di aiutarla. Ora vorrei che lei facesse per noi una lenta panoramica di tutto quello che ha intorno. Bene così… Vada un po’ più lento per favore. Bene… Adesso vorrei che facesse avanzare i suoi uomini, ma come se camminassero normalmente, lì, nella piccola piazza che si trova davanti a voi”. Mark fa allora cenno di avanzare a Connor e agli altri che eseguono un disorientato avanzamento. “Bene, adesso li segua, ma lentamente”. Mark tentenna un momento (non erano questi i patti, non si trattava di fare il burattino, il capitano era stato chiaro) ma si fa forza e inizia a camminare. “Riesce a vedere quell’ammasso di mattoni polverosi alla sua destra?”. Mark osserva verso la sua destra centrando nel suo campo visivo l’ammasso polveroso di mattoni. “Bene, sergente, allora: proceda verso di loro, mi sembra di vedere che ci sia un sentiero che passa di lì, no? E si snoda in direzione di quelle costruzioni diroccate in fondo. Richiami i suoi uomini in quella direzione e proceda, ma si faccia anticipare dai suoi uomini, altrimenti ci ritroviamo con la sua videocamera che va avanti nel niente”. Mark chiama: “ragazzi!”, Connor e gli altri si girano e lui gli fa segno di procedere verso il cumulo polveroso di mattoni. I ragazzi eseguono mansueti e con il passo stancamente depresso, come dei ragazzini che escano da un campo di calcio dopo aver preso una batosta, e Mark li segue covando risentimento e ripensando al suo istruttore che una volta, quando lui era appena una matricola strisciante e boccheggiante in una pozza di fango del campo d’addestramento con in testa l’idea di mollare tutto e tornarsene a casa ad allevare vitelli, si avvicinò alla sua faccia e gli sussurrò con un calore e una partecipazione che Mark non potrà mai dimenticare per il resto dei suoi giorni: “Forza, ragazzo, è così che si diventa un vero americano!”. E Mark allora avanza sul sentiero polveroso con una struggente nostalgia per fango, strisciamenti, dolore, fatica, e senso della nazione, stringendo il suo fucile d’assalto M4 tra le mani come chiunque altro farebbe con una pallina antistress. La peregrinazione continua muta attraverso il sentiero, fino alle costruzioni diroccate sul fondo, fino a quando Mark, dalle retrovie vede i suoi fermarsi interdetti oltre l’angolo del muro di una delle costruzioni. “Sergente, li raggiunga! “ dice con forza il regista HBO nell’auricolare di Mark come fosse spazientito dal suo muoversi nelle retrovie, come se non fosse stato lui, piuttosto, a chiedergli di rimanere in coda al gruppo. E Mark allora affretta il passo e raggiunge i suoi compagni fermi a guardare un qualcosa oltre il limite dell’angolo del muro. Davanti alla squadra, e adesso ben al centro del campo visivo di Mark, a circa 20 metri, un gruppo di ragazzini scalzi è schierato in attitudine guerrescamente attenta e scrutatoria, e sul lato sinistro del gruppetto di sbarbatelli giace floscio un pallone da calcio. “Ecco ci siamo… “ sussurra flebile e sicura la voce del regista HBO nell’auricolare. “Era ora che qualcosa succedesse!”. Ma cosa? pensa Mark. Ma cosa cazzo dovrebbe mai succedere? Ma proprio mentre Mark pone questa domanda a se stesso la sua mente viene assalita da un’idea, anzi dal prodromo di un idea, da una specie di intuizione, da una specie di inizio di sconcertante e per lui penosa intuizione, che immediatamente Mark cerca con tutte le sue forze di ricacciare nel buco subcorticale del suo cervello da cui è uscita, anzi, è costretto più e più volte a ricacciarcela mentre quella, quell’idea, continuamente ritenta la risalita, e il penoso processo va avanti fino a quando nell’immobilità dei due schieramenti contrapposti e nel loop estenuante del suo cervello Mark sente la voce del regista HBO che dice: “Forza, ragazzi, prendete quel pallone, fatevi sotto, e spaccate il culo a quei marmocchi!”
Luigi Saravo