LIFE EXPLORER stagione 1 ep.2

Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale denominato LIFE EXPLORER è ormai pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta. Basta aprire il proprio computer, tablet, smartphone, e collegarsi alla LIFE EXPLORER per esplorare nel giro di trenta minuti la situazione in un bar di Caracas, dare un’occhiata ai negozi della Quinta Strada a New York, ed entrare in casinò di Montecarlo. Il mondo è diventato un posto più piccolo o più grande se quello che avviene lontano muove quello che è a noi vicino?

Inconsciamente, forse del tutto inconsciamente, quello che stava facendo, la cosa per cui alla fine lavorava, era costruire una tana del tutto autosufficiente, capace di contenere tutte le azioni necessarie alla propria vita senza sentirsi nel contempo tagliato fuori dal mondo. L’immagine di riferimento sarebbe potuta essere quella di un topo, un topo che viva in un cassetto e nel cassetto tutto un mondo che lo tenga occupato a non pensare che in fondo quel vivere nel cassetto non è altro che il modo per seppellirsi. Ma, forse, piuttosto che l’immagine di un povero topo in un povero cassetto alla quale sarebbe comunque immediatamente associabile una dimensione subumana è possibile che l’immagine appropriata, quella che inconsciamente andava a depositarsi nella mente di Emanuele Songa, e che era capace di generare il sistema autosufficiente, poteva somigliare all’idea di una piramide egizia dove nelle diverse camere venissero raccolti tutti gli elementi essenziali per il faraone che, una volta emancipatosi dal noioso e inerte stato di morte, gli avrebbero potuto permette di sopravvivere nel solido geometrico incastonato nella sabbiosa pianura egizia che era la sua tomba, per un’eternità. Così, nel tempo, Emanuele Songa si era affaccendato per rendere possibile questo sogno archeologico attrezzandosi in modo tale da non dover più uscire da casa per nessun motivo, senza peraltro che potesse sospettare di essersi recluso, e nel fare questo si era anche riservato la possibilità di accedere al mondo esterno direttamente dal sito Life Explorer che sembrava fare proprio al caso suo, che sembrava proprio poter completare in modo perfetto quella sensazione da mondo-in-una-stanza per il quale Emanuele Songa si era adoperato, e questo nonostante Emanuele non avesse il denaro necessario per poter usufruire degli interi servizi che il sito avrebbe potuto offrirgli. Così Emanuele si limitava felicemente ai servizi gratuiti, quelli dove si accedeva ai cosiddetti Experiencer Explorer, tizi che svolgevano una serie di attività esplorative o ricreative, o semplicemente tizi che facevano il proprio lavoro e conducevano la propria vita e che si erano resi disponibili a mostrare il contenuto delle proprie attività al mondo. A Emanuele la cosa bastava, anzi probabilmente non avrebbe saputo che farsene di un vero e proprio Avatar Explorer cui avrebbe dovuto star dietro. A quelli preferiva allora l’illimitata varietà di giochi che le sua consolle PS4 gli sapeva offrire, e così si limitava agli Experiencer Explorer che si smazzavano la loro vita in apposite finestre temporali dedicate sul sito, cavalcando i quali poteva saltabeccare in lungo e in largo per il mondo rendendo il mondo un’estensione del proprio modulo abitativo autofunzionante dotato di tutti quei piccoli confort che in effetti un topo non avrebbe mai saputo immaginare. Per fare questo, per poter godere al meglio dell’estensione mondo privato in mondo esterno attraverso le peregrinazioni degli Experiencer si era munito di cavo di collegamento HDMI di alta qualità che gli consentiva di far accoppiare il suo computer Lenovo Yoga al televisore Sony Led da 60 pollici che aveva acquistato su Amazon ad un prezzo veramente ridicolo e di rimandare su quello, senza soluzione di continuità, tutto quello che gli Experiencer catturavano con i loro occhiali-camera, come se quel televisore fosse un quadro decorativo animato del mondo esterno affisso nel proprio soggiorno. Ecco, forse, adesso, dopo aver illustrato per sommi capi lo stile di vita di Emanuele Songa, se facessimo una rapida panoramica dell’organizzazione spaziale del sistema abitativo autosufficiente che il Nostro aveva saputo ricavarsi ci rimarrebbe più facile comprendere perché la prima, seppur inadeguata associazione tra la sua abitazione e la tana di un topo, sia potuta emergere con tanta immediatezza: le persiane sono accostate e conferiscono un effetto penombra oltre a schermare il rapporto con l’esterno, intorno vi sono poi vari mucchi di cose e la circostanza assume proporzioni eclatanti in quella che dovrebbe essere la camera degli ospiti e che risulta essere invece la camera dei mucchi del vestiario, una specie di armadio a cielo aperto dove le cose sono divise per mucchi: mucchi di mutande, di pantaloni, e così via. Continuando ad esplorare il resto della casa vedremmo che la questione si riproduce identica ovunque anche se in dimensioni ridotte: mucchi di giornali, di cavi per computer stereo ecc, di tovaglie, di attrezzi da lavoro tipo cacciaviti pinze martelli ecc, e così via, dappertutto, tranne nel secondo bagno, dove il paesaggio, anche a differenza del primo bagno, quello ufficiale, dove la situazione mucchi continua con gli asciugamani, i pettini, le spazzole, ecc, il paesaggio, dicevamo, in questo secondo bagno, subisce un profondo cambiamento, emancipandosi completamente da qualsiasi possibile associazione con la vita di un roditore. Il secondo bagno, infatti, dà più la sensazione di qualcosa di clinico, di scientifico, di laboratoriale, con le sue finestre completamente serrate e gli scuri chiusi e i teli in plastica trasparente che formano la scatola-serra e le luci emesse dalle lampade rosse e le ventole per l’aerazione accese che producono un ronzio ininterrotto e il microclima semitropicale e l’odore acre delle resinose piante cannabinoidi, come fosse una specie di santuario per vegetali appartenenti al genotipo THCAS, vegetali che sono la fonte di sostentamento dell’intero sistema Emanuele-casa, e la cui coltivazione e distribuzione (sempre rigorosamente attraverso rappresentanti e venditori all’ingrosso del prodotto che vengono a ritirarlo direttamente nel sistema Emanuele-casa senza che la configurazione del sistema debba deflagrare facendo uscire Emanuele da casa) detta fonte di sostentamento, dicevamo, è il pilastro fondante e nucleo generativo delle intere risorse che permettono al coltivatore di garantirsi una vita capace di assecondare la propria indole. Comunque adesso Emanuele è lì, ed è impossibile non immaginarselo senza i suoi incisivi da roditore mentre vaga per la cucina in penombra attraversata dai tagli di luce delle persiane che rendono quasi palpabile l’aria resinosa, e scava nel mucchio di barattoli accatastati sul mobile accanto al frigorifero, cercando uno stramaledetto miele vergine di castagno che è sicuro di essersi fatto arrivare qualche mese prima dal supermercato Anafim con il servizio spesa a domicilio di cui si serve. Il fatto è che la contrazione dello spazio ha degli effetti anche sul tempo e vivere in un numero ridotto di metri quadri per di più senza visuale esterna può indurre il tempo a fare strane peripezie in contrazione o in espansione e se si aggiunge a questo il fatto che, lo si voglia ammettere o no, l’uso di cannabinoidi in dosi costanti ed elevate può portare a profonde distorsioni mnemoniche, è possibile che quel barattolo di miele vergine di castagno sia un reflusso d’immagine adolescenziale nella mente di un trentaseienne, e che il tè in attesa sul tavolo della cucina debba essere dolcificato con gli abituali due cucchiaini di zucchero di canna grezzo. Ma Emanuele Songa è un ragazzo che non molla e ci passa un bel po’ di tempo lì a rovistare nel mucchio di barattoli fino a quando si immobilizza folgorato dall’idea che se non si dovesse fermare (ed è capitato che attività come queste si prolungassero anche per alcune ore) il tè, ancora fumante sul tavolo, non sarebbe più in grado di mantenere una temperatura tale da permettere a qualsivoglia sostanza di sciogliersi fluidamente al suo interno (è curioso notare come tante persone su questo pianeta si preoccupino di cose come queste) e così decide di abbandonare la sua ricerca per rivolgersi al pensile opposto al frigorifero, aprirne il pericolante sportello, estrarre il contenitore in alluminio in cui tiene abitualmente lo zucchero di canna grezzo e scoperchiarlo, per rendersi conto che, seppur incredibilmente, nel suo ultimo ordine al supermercato Anafim tale preziosa sostanza non era stata introdotta nella lista che aveva diligentemente dettato all’addetta agli ordini. Emanuele non riesce a capacitarsi di come sia potuto incappare in un errore così grossolano e puerile, e non volendo accettare di assumersi la responsabilità di un tale errore, che oltre alla frustrazione gli infliggerebbe anche un inaccettabile immagine di sé, decide di affibbiare la colpa all’addetta agli ordini del supermercato e pensando che conti come quello vadano regolati all’istante, si dirige verso il soggiorno con l’idea di trovare il cellulare in qualcuno dei mucchi (perché solo in uno dei mucchi del soggiorno si potrebbe trovare) e di chiamare il supermercato per farsi passare il reparto ordini e dirne quattro all’addetta, forte della sua posizione di cliente tesserato premium. E così esce dalla cucina, imbocca il corridoio a passi pesanti come se già alla distanza volesse far sentire all’addetta il proprio disappunto, entra in soggiorno, e si dirige sicuro verso un’ampia ciotola posta sul tavolo che, in mezzo a cartine, puntine da disegno, matite, pile esaurite, pacchetti di gomme semivuoti, e altri oggetti dalla provenienza indecifrabile, dovrebbe secondo il suo intuito contenere il cellulare. Dopo un primo rovistare deve accettare il fatto che il suo intuito sia forse un po’ fallato e decide di cambiare mucchio dirigendosi verso quello al lato del divano, ma attraversando lo spazio del soggiorno che divide il mucchio della ciotola sul tavolo dal mucchio al lato del divano la sua attenzione viene richiamata dal quadro decorativo del suo televisore Sony da 60 pollici affisso sulla parete alla sua destra dove vede muoversi confusamente dei corpi sudati. In un momento di maggiore stabilità dell’immagine vede poi un marine americano o qualcosa del genere agitarsi a torso nudo battendosi i pugni sul petto come King Kong e un suo collega correre verso di lui e abbracciarlo mentre l’inquadratura comincia sconnessamente ad avvicinarsi ai due fino a riuscire a riprendere solo porzioni di corpo, orecchie nuche nasi, spicchi d’occhio, lembi di bocca sorridenti, in quello che potrebbe essere un abbraccio condiviso, per poi riallargare e includere nell’immagine una distesa polverosa dove qualche metro più in fondo le giacche mimetiche raggomitolate dei militari segnano due punti alla distanza di qualche metro l’uno dall’altro, a mo’ di porta, e in mezzo un ragazzino magro e scuro che avanza ciondolando con la testa, portando sotto il braccio un pallone floscio, mentre altri due ragazzini altrettanto magri si dirigono verso di lui e gli urlano contro qualcosa, qualcosa che fa in modo che Emanuele Songa raccolga dal mucchio sul divano alle sue spalle il telecomando e alzi il volume chiedendosi quando mai abbia selezionato dalla sezione mappe del sito Life Explorer un Experiencer militare americano in zona di guerra, lui che odia i militari quasi quanto gli americani e rifiuta ogni contatto con qualunque cosa possa essere un prodotto dell’accoppiamento delle due categorie. In ogni caso ora sullo schermo del suo quadro animato affisso sulla parete del soggiorno Emanuele sta osservando quella che ha tutta l’aria di essere un’improbabile partita di calcio tra truppe americane e ragazzini mediorientali, dove, a quanto pare, i ragazzini al momento stanno avendo la peggio e risalgono il campo pallone in mano in una specie di litigio tra compagni di squadra, uno di quei litigi tipici dei giocatori di squadre non professionistiche che di fronte ad un errore di un compagno invece di sostenersi e rinsaldarsi per far fronte agli avversari si beccano tra di loro scivolando nel baratro del contrasto interno che gli toglierà ogni possibile risorsa per far fronte al momento di difficoltà e li disporrà nella penosa prospettiva di essere invece distrutti dalla difficoltà. Ma l’azione sul tasto della regolazione del volume che Emanuele sta mettendo in atto fa ora in modo che siano anche percepibili le parole che il gruppo di militari sta pronunciando in direzione dei ragazzini che risalgono il campo, e quelle parole sono di indubbio valore canzonatorio se non di scherno. In quel momento l’inquadratura raccoglie uno dei ragazzini che col volto contratto dalla rabbia si stacca dal gruppetto schiamazzante e si dirige alla sua sinistra dove compare come dal nulla un muretto fatiscente su cui sono ordinatamente appoggiate come in una rastrelliera le armi da fuoco dei militari con accanto sempre ordinatamente disposte parti delle loro divise e i loro elmetti. Il militare/Experiencer deve aver intuito quello che chiunque intuirebbe di fronte a una situazione come quella e l’inquadratura dei suoi occhiali-camera comincia ad avanzare rapidamente e sconnessamente nella direzione del ragazzino fino a rendere il percorso visivo che si sta consumando un confuso agitarsi di frammenti di cielo e sabbia a causa di quella che deve per forza essere una caduta a terra del militare, e nella confusione visiva, nel calpestio di altri passi attorno, nelle subitanee urla emesse dalle mature voci maschili degli altri militari, in un turbinio di sabbia e cielo, all’improvviso, tutto è annientato dal suono di un’esplosione. L’inquadratura mostra ora un panorama al contrario, da un punto di vista impossibile, che suggerisce che gli occhiali-camera giacciano solitari al suolo, e in quell’inversione dell’immagine si vedono entrare in campo delle gambe barcollanti fasciate da una mimetica, che cedono ad ogni passo, fino a che l’intero corpo di un militare precipita vicinissimo all’obiettivo degli occhiali camera mostrando una porzione di qualcosa che dovrebbe essere un volto e che invece ora assomiglia a un confuso ammasso di tessuti rosati, capelli e sangue, fino a quando il collegamento video, su quell’immagine che comunque necessiterebbe di un lasso di tempo maggiore per poter essere chiaramente interpretata, insomma, questo collegamento s’interrompe. Emanuele è paralizzato, in piedi di fronte allo schermo nero del televisore, e la sua mano lascia scivolare a terra il telecomando. Tentenna confuso in un accenno di movimento dei piedi che potrebbe indicare l’impulso a muoversi, e qualcosa lo assale, come una specie di sensazione di soffocamento, come se l’aria all’improvviso fosse piena solo di un’intollerabile dose di anidride carbonica e residui di sostanze resinose, come se tutto intorno fosse privo di luce come d’ossigeno, come se quella in cui adesso si trova, fosse una prigione, o forse di più, forse una tomba in cui lui sia stato rinchiuso ancora vivo, o meglio, come se lui fosse un antico faraone che uscito dal suo stato di morte si fosse riaffacciato al mondo e avesse compreso che nonostante, lì, nel solido geometrico che è la sua tomba, ci sia tutto quello di cui potrebbe aver bisogno per vivere, lui, la sua nuova forma vivente, di spirito o di qualunque cosa sia diventato, non se ne fa niente di tutto ciò, e ha invece solo bisogno d’ossigeno, luce e spazio, neanche di amore o cibo o sesso, ma solo e primariamente di ossigeno, luce e spazio, e allora Emanuele senza deciderlo, senza che nella sua mente passi un solo pensiero, spinto solo da questa insopprimibile necessità che ora gli preme dentro, si muove, si volta, si dirige verso la porta d’ingresso posta alla fine del soggiorno, la raggiunge, gira le interminabili mandate della serratura e con l’ultima di quelle mandate aziona l’ingranaggio dello scatto della serratura, e la porta non manifesta più alcuna resistenza ad aprirsi, e lui la spinge spalancandola, facendola sbattere contro il muro dall’altra parte, e oltrepassa la soglia entrando in uno spazio che sembra fatto d’un bianco accecante, in uno spazio infinito, irrorato da un’aria leggera, fredda, che gli entra nei polmoni gonfiandoglieli fino a fargli male, fino a fargli sentire una sensazione tagliente nelle ossa, come se fosse quello il momento in cui sia stato espulso dall’utero della madre, come se solo adesso, fosse, alla fine, vivo.

Qui stagione 1 ep. 1

Luigi Saravo