LIFE EXPLORER stagione 1 ep.3

Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale LIFE EXPLORER è pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta.

Il cacciatore di mostri Goran Kouculanis era uno di quegli Experiencer che tenevano veri e propri programmi in diretta sul sito Life Explorer con tanto di fasce orarie di programmazione, e che sfruttavano la loro nicchia di visibilità interplanetaria per promuovere attività proprie. Forte della sua origine transilvana tradita da un vistoso accento impresso a una lingua anglosassone sintatticamente e grammaticalmente storpiata, e del suo aspetto a dir poco spiazzante a causa delle numerose cicatrici prodotte dalla caduta da un ponte in età adolescenziale (e non invece a combattimenti mortali con mostruose creature come lui andava raccontando), il rumeno, indossati i suoi occhiali-camera, cominciava il programma con una soggettiva di sé medesimo allo specchio attraverso la quale introduceva i temi del giorno per poi spostarsi all’interminabile tavolo dai piedi animali posto al centro dell’ampio salone in stile gotico del castello che gestiva in affitto. Lì, con l’ausilio di antichi libri in pergamena (appositamente stampati e invecchiati per lui dalla tipografia locale), teneva lezioni teoriche sulla mostruosa creatura del giorno così come era rappresentata nelle diverse epoche e nelle diverse culture. Altre puntate, invece, venivano realizzate in esterni, a volte addirittura in grandi città europee distanti dal piccolo paese transilvano in cui era ubicato il castello, dove, dopo la presentazione di rito allo specchio realizzata in situazioni di fortuna, Kouculanis girando per le strade illustrava tecniche di indagine intorno a luoghi e persone che potevano lasciar sospettare la presenza di mostri.

Tutta quest’attività divulgativa in cui Kouculanis profondeva tanto impegno era l’imprescindibile mezzo attraverso cui raccoglieva adepti ed estimatori disposti a raggiungerlo nel suo castello, a volte anche a costo di voli transcontinentali, per apprendere direttamente da lui ogni segreto della caccia al mostro. Il castello gli consentiva di ospitare in sotterranei e torri i suoi seguaci per stage settimanali dove venivano insegnate tutte le tradizionali tecniche per la caccia e l’uccisione dei più noti mostri dell’immaginario collettivo, dall’uso dei paletti acuminati per vampiri, ai sofisticati protocolli per la neutralizzazione di zombie, alle pallottole d’argento ottenute dalla fusione di crocefissi benedetti per l’eliminazione di licantropi, e così via, in un catalogo ricchissimo che permetteva ai morbosi ospiti di sentirsi al termine delle sessioni di lavoro al sicuro dalle oscure paure che si agitavano nelle loro anime e che prendevano la forma di antichi archetipi dall’indubbio valore simbolico. Gli stage oltre al mero apprendistato tecnico offrivano, poi, quanto di più scomodo e disturbante una vacanza potesse offrire: sonni costantemente interrotti da grida e rumori sinistri, giacigli in materassi di paglia, passeggiate notturne tra malsane paludi, cibo da caserma raccolto in fumanti pentoloni e servito in ciotole consunte, in un gustoso contesto da film horror che trovava il suo compimento nel quotidiano maltrattamento che un volenteroso Kouculanis si impegnava ad infliggere a ognuno dei suoi ospiti. L’attività era fiorente e il rumeno ampliava ogni mese il suo giro d’affari temendo solo che un giorno tutto questo, così com’era cominciato, potesse finire. La passione per i mostri di Kouculanis era nata in tenera età, istigata dal nonno, uomo singolare e con chiari segni di disagio mentale che terminò la sua vita in un sorriso ebefrenico, al quale l’irresponsabile madre di Kouculanis affidava il figlioletto nelle lunghe giornate estive quando, terminato il periodo scolastico, se lo ritrovava tutto il giorno tra i piedi impedendogli di lavorare alla macchina da cucire e di occuparsi di tutte quelle pesanti faccende domestiche alle quali una donna di tale epoca e regione era condannata. Questa frequentazione col nonno, che negli anni superò le restrizioni dei periodi di vacanza per divenire sempre più intensa e continua, fece in modo che il ragazzino apprendesse dal disponibile anziano non solo tutti i racconti del terrore per cui il vecchio andava in visibilio ma anche quel mancato senso del reale e quell’attitudine dissociata che solo a fatica Kouculanis sapeva gestire spinto dalla necessità di sopravvivere. La plastica mente del piccolo Kouculanis divenne così uno strano spazio composto da camere non comunicanti, popolate da pensieri e attitudini diversissime, tra le quali lui aveva imparato a muoversi con disinvoltura. C’era il Kouculanis fervente credente in tutti gli eventi metafisici e mitici, e quello razionale e cinico, quello sensibile e impressionabile, come quello efferato e crudele, c’era l’uomo d’affari e il mistico, l’asceta e il materialista, e Kouculanis saltabeccava bellamente tra i diversi comparti della sua sfaccettata personalità senza alcun sospetto di promiscuità tra loro. All’occasione sapeva far emergere l’aspetto più opportuno in modo istintivo, come un animale capace di adattarsi immediatamente e senza la parvenza d’un pensiero alle diverse circostanze che il suo habitat può offrirgli, e forse era questo il suo fascino, quel magnetismo sinistro e ambiguo che emanavano i suoi comportamenti, e che era stato il motore del suo successo mediatico. In fondo Kouculanis non avrebbe saputo dire niente di sé, nemmeno se, poi, a quei mostri che erano l’intera sua vita credesse, nemmeno se fosse reale o no, ormai, la storia delle cicatrici sul suo viso, e anzi si era più volte sorpreso a passarsi le mani sul viso e a riassaporare le terribili e esaltanti emozioni dei combattimenti mostruosi che raccontava le avessero generate.

Dedito alla sua professione come solo all’alcool e al sesso a pagamento Kouculanis, chiuso nel grembo dorato che era la sua vita, si ritrovò così a Torino, città stranota per la sua familiarità con i temi dell’occulto, per realizzare una delle sue tante puntate divulgative oltreconfine e, come sempre, per farsi una bella vacanza di qualche giorno. Vagava per le strade del centro tra i severi colonnati e le piazze geometriche inoltrandosi verso il fiume e risalendo colline su cui si levavano antiche costruzioni nobiliari quando in un momento d’ispirazione decise che la location della puntata sarebbe stata il cimitero monumentale. Prese un taxi al volo controllando l’orologio e calcolando il tempo rimanente per il collegamento con il sito, estrasse dalla giacca la custodia dei suoi occhiali-camera, li inforcò, e si godette il viaggio perdendosi nei suoi pensieri in off line. Mentre gli sfilavano accanto strade, vicoli, e palazzi, si ritrovò a pensare inspiegabilmente a suo nonno, cosa questa che non gli accadeva molto spesso, cosa, questa del ricordare persone o cose lontane, che non gli accadeva praticamente mai, come se fosse immune al passato, come se il passato non lo potesse toccare, e questa poi era in fondo la sua forza, la ragione per cui poteva definirsi immune ai dolori che ognuno porta con sé: un uomo senza nostalgie, rimorsi, rimpianti, come se la sua mente tra i numerosi antri che la componevano avesse un luogo dove il passato fosse isolato e irraggiungibile, se non a forza, se non impegnandosi volontariamente a riesumarlo, come se la memoria, capacissima peraltro in lui, non avesse un accesso diretto ai movimenti associativi della sua coscienza ma necessitasse per attivarsi di interruttori specifici che andassero appositamente azionati, e invece, lì, tra le strade di quella città straniera suo nonno sembrava saltare fuori da ogni dove infliggendogli, oggi, penosi sentimenti di nostalgia che si mescolavano alle memorie dei piccoli chock che aveva subito durante l’infanzia passata in suo compagnia dovuti ai cambiamenti repentini di umore del vecchio che sapeva trasformarsi dal nonno di Heidi a Caronte il fustigatore in un batti baleno, spiazzando il piccolo e innescando anche in lui rapide risposte che lo teletrasportavano in spazi e tempi del tutto irriconoscibili dove la nuova forma del reale si mostrava in colori e atmosfere assolutamente inconciliabili con quella che l’aveva preceduta, senza che lui potesse stabilire il minimo sentore di nesso causale tra le varie situazioni che si avvicendavano, cosa, questa, che stravolgeva il Kouculanis bambino, frastornandolo e portandolo a un parossismo emotivo dove l’unica risposta possibile era il riso, un riso sinistro e freddo, come di chi rida per puro riflesso fisiologico rispondendo a qualcosa che lo aggredisca e che lui non sia assolutamente in grado di poter comprendere. Questi ricordi, queste memorie autonome e perturbanti, mentre era raggomitolato nel sedile posteriore del taxi con il volto schiacciato contro il cristallo del finestrino, lo facevano sentire come se fosse ancora lì, come se avesse ancora sette anni e si trovasse nella lavatrice-nonno in fase di centrifuga, e ogni tanto era scosso da piccoli tremori e sobbalzi di fronte alle immagini più improvvise e aggressive, e quando il taxi finalmente terminò la sua corsa di fronte alla splendida e lugubre cancellata del cimitero Kouculanis pagò l’autista e schizzò fuori dal taxi più rapidamente che poté con l’accortezza di richiudere immediatamente dietro di sé lo sportello come se volesse impedire a quei pensieri di seguirlo, rinchiudendoli nell’abitacolo del taxi, come se quell’abitacolo fosse la stanza inaccessibile della sua memoria che improvvisamente e inaspettatamente si era spalancata trascinandolo nei gorghi emotivi di cui era fatta. Sospirò del sorriso di chi l’ha scampata sentendo la sua mente di nuovo pulita e libera, di nuovo invulnerabile alla tortura della memoria, alle sue dita nodose e alle sue unghie affilate come quelle di un morto che esca dalla tomba per aggredire l’ignaro e mansueto passante in una notte di plenilunio umida del grasso della terra cimiteriale. Si voltò allora verso il cimitero al cui interno vide il bianco smagliante delle lapidi e il bronzo brunito delle statue che gli dicevano che i morti, invece, giacevano sotto il pesante marmo delle loro tombe, chiusi nelle loro bare zincate ben saldate, assolutamente incapaci di alzarsi ed infettare il mondo dei loro umori nefasti, disgustosi e orribili, e riprendendo lentamente il vigore che gli era proprio Kouculanis si ricordò chi fosse in realtà, si ricordò di non essere più il moccioso dentro al taxi, ma un vero cacciatore di mostri e che quindi se i morti avessero voluto sollevarsi dalla terra in cui erano sepolti che lo facessero pure, perché lui conosceva almeno trentatré tecniche di annientamento per Zombie, e gli avrebbe spaccato il culo. Così, nutrito della sua rinnovata baldanza, Kouculanis gettò uno sguardo all’orologio per controllare il conto alla rovescia del suo collegamento al sito e si inoltrò a passi sicuri oltre la linea del cancello cimiteriale. Il percorso, nella maestosa conformazione delle tombe ricche di lapidi finemente scolpite, nella dedizione con cui erano tenuti i giardini, nell’imponenza solenne dei mausolei e delle cappelle ricche di intarsi marmorei e sofisticate soluzioni architettoniche, nel dettaglio delle statue decorative dove una profusione di creature alate di ogni forma e dimensione si accompagnava a quelle che dovevano essere riproduzioni in scala ridotta o maggiorata dei sepolti, mostrava tutto il reverenziale timore che l’uomo prova nei confronti della più incomprensibile delle avventure terrestri, e gli risultò evidente che quei monumenti erano eretti non alla memoria di una vita passata ma al monito di una fine futura e nel contempo volessero rassicurare del fatto che la morte non fosse una cancellazione bensì qualcosa che può ancora avere un seguito, una qualche forma di sussistenza nel mondo, attraverso il marmo, il bronzo, la memoria, le parole scritte, insomma qualunque cosa disponibile capace di emancipare dall’orrore del pensiero di una definitiva fine e scomparsa, ed erano queste meditazioni ad accompagnare i passi di un Kouculanis, ora filosofo, erano questi pensieri dedicati alla debolezza umana di fronte alla morte che pian piano corroboravano il suo animo, non tanto attraverso i contenuti delle meditazioni in sé e per sé, ma piuttosto per l’immagine che quelle meditazioni disegnavano di Kouculanis stesso, un’immagine potremmo dire “alta”, di indubbio valore intellettuale ed umano, e lui si crogiolava in quest’immagine guardando con sentita pietà gli uomini e le donne, prevalentemente anziani, che si avvicendavano per i viali cimiteriali, fino a quando imboccato un isolato vialetto laterale vide verso il fondo una piazzola dove davanti a una tomba piuttosto semplice coperta da radici e rampicanti si aggirava una figura che catturò la sua attenzione. Nel medesimo istante un bip proveniente dal proprio orologio lo avvertì che era arrivato il momento di connettere i propri occhiali-camera al sito e rendersi disponibile alla numerosa platea della sua utenza. Kouculanis si chiese se fosse il caso di iniziare come suo solito con una soggettiva di sé medesimo allo specchio. Si rese conto, però, dell’impossibilità di poter accedere a una qualsiasi superficie riflettente, e si chiese allora come avesse potuto trovarsi così impreparato all’evento mediatico. Si rispose che la colpa era senz’altro del nonno, del cimitero in sé, del suo indiscusso talento filosofico, delle vecchine del cazzo piegate su ciò che rimaneva dei loro cari, di quelle vecchine che sembravano prepararsi ad abitare in quel posto e si allenavano a farlo facendo le pulizie come fossero nel loro appartamento, insomma si disse che di qualcuno doveva pur essere la colpa e che comunque adesso si trattava di iniziare, e che poi, in fondo, partire in un modo così anomalo per i suoi utenti, aprendo l’inquadratura direttamente su un cimitero, avrebbe potuto essere una sferzata d’energia, e infine pensò che nella vita niente accade a caso, e che tutto fa parte di un disegno più grande di noi che dobbiamo saper interpretare se non vogliamo trovarci a remare controcorrente, e che quella singolare figura che si profilava in fondo al vialetto era qualcosa di provvidenziale, un modo per entrare subito nel vivo della questione saltando i preamboli, perché quella singolare figura aveva, conteneva in sé, tutte le caratteristiche che potevano far pensare a qualcosa di strano e di anomalo, e lì, mentre Kouculanis continuava a guardarla, nelle frazioni di secondo che lo dividevano dal collegamento e che ospitavano le sue fulminee considerazioni, Kouculanis notava nella figura qualcosa che sempre più lo attraeva e che formava in lui un’immagine ancora nebulosa ma intuitivamente già chiara. Aprì la connessione e avanzando lentamente attraverso il vialetto circondato da una fitta vegetazione cominciò a parlare con il suo pubblico, sottovoce, come fosse un documentarista che spiasse in diretta un qualche animale che immediatamente sparirebbe se percepisse la sua presenza. Avanzando stringeva il campo sulla creatura, e commentava col suo inglese storpiato e la sua roca, suggestiva, voce dall’accento transilvano dicendo: “eccoci, potete vederlo… non fatevi ingannare da apparenze amici miei… non fatevi ingannare da sue sembianze, osservate suo comportamento, osservate quello che lui fa, e dimenticate per un momento di guardare un essere umano… fatelo, fatelo adesso, perché sarà solo vostra capacità d’osservazione, vostra conoscenza e vostro intuito, che potranno salvare voi da sinistre creature che vivono in nove mondi…” e dicendo questo anche lui si stupiva di come le sue parole calzassero a pennello su colui che stava osservando perché l’osservarlo effetivamente non richiamava alla mente attitudini umane. “Ecco amici miei, lentamente uno immagine emerge in vostre menti, io so, e se avete saputo guardare con istinto e non con la ragione, questa immagine si sta a fare avanti… Qual’è creatura che state realmente osservando, creatura oscura che si nasconde dietro apparenza umana?” ed in effetti qualcosa c’era, perché il tizio raccoglieva sull’ampio coperchio di marmo della tomba piccoli mucchi di fiori, probabilmente fiori raccolti tra i cespugli e i vialetti accanto, attraversando con un singolare passo contratto e rapido il perimetro della tomba, animato da un singolare movimento a scatti della testa e una singolare attitudine delle braccia che si ripiegavano accanto al busto per poi riallungarsi verso gli oggetti che manipolava, e in tutto questo, lentamente, l’immagine che affiorava nella mente di Kouculanis richiamava la presenza di una coda che seppur mancante alla figura sembrava poter di lì a poco comparire da qualche piega dei logori vestiti che indossava, e, insomma, quello, il tizio, era, dava l’impressione di essere, un gigantesco, incredibile, topo-uomo “esatto amici miei… quello che state guardando sembra essere gigantesco topo-uomo….” lo sembrava quasi smaccatamente dopo aver ascoltato la similitudine richiamata dalle parole di Kouculanis che intanto continuava dicendo “ come voi sapete licantropia non è solamente fenomeno di trasformazione in lupo… le forme animali che può assumere uno uomo che sia malato di licantropia sono diverse e sempre frutto di una maledizione o di gravi colpe di licantropo o di suoi progenitori…” e dicendo questo Kouculanis avanzava sempre di più e sempre di più sentiva la suggestione delle proprie parole crescergli dentro, inquietarlo quasi, e continuava ad avanzare e a parlare dicendo “io andrò guardare suo volto amici miei… mi spiace che per leggi su tutela privacy non sarà possibile per voi osservare suoi tratti, ma in immagine opacizzata di suo volto so che saprete imprimere sigillo di orrenda verità…” e in fondo a sé stesso Kouculanis sentiva qualcosa di vicino a quell’orrore di cui andava dicendo sfiorargli il corpo, come la voce dell’istinto che gli stesse suggerendo d’andarsene, di voltarsi, di lasciar perdere e prendersi quello che s’era preso senza andare oltre spinto dall’ingordigia mediatica. Sentiva che per lui qualcosa di assolutamente nuovo stava avvenendo, sentiva che il confine che divideva la sua astuzia d’uomo d’affari dalla sua antica credenza di bambino nel mondo delle creature mostruose stava crollando, e che lì, in quel confine che crollava, qualcosa d’insospettabile metteva in connessione le sue abilità affabulatorie con la verità, e sospinto ora da una genuina curiosità proseguì avanzando lungo il vialetto fino ad arrivare a pochi metri dalla tomba dove il tizio era chino a raccogliere un nuovo piccolo mucchio di fiori. Quando fu lì, probabilmente per quel sesto senso che ognuno possiede e che ci fa voltare il momento in cui sentiamo d’essere osservati, il tizio chino sulla tomba si voltò e Kouculanis si ritrovò davanti a lui faccia contro faccia. Aveva i capelli radi e arruffati, d’un biondo cenere smorto, la carnagione d’un pallore malato con arrossamenti intorno agli occhi liquidi d’un azzurro chiarissimo, le pupille come spilli in quel chiarore, delle labbra esangui dietro le quali si intravedevano grandi incisivi. L’età era indefinibile, sembrava una creatura vissuta fino a poco prima in una tomba, e l’immagine che, subito, si destò in Kouculanis fu quella di uno spazio immerso nella penombra, con l’aria satura di miasmi, con mucchi di cose disseminati ovunque, dove abitava un non uomo, una chiara rappresentazione di quello che molte volte aveva immaginato ascoltando i racconti di suo nonno, un licantropo-topo forse, o forse qualcosa di peggio, che adesso si piantava come un paletto acuminato nel cervello di Kouculanis, e faceva zampillare dalla sua ferita antiche paure senza nome, oscuri ricordi senza oggetto, tutta un’intera vita fatta d’angoscia rimossa, la stessa i cui segni erano comparsi nell’abitacolo del taxi e che lui si era illuso di poter lasciare lì, convinto di poter vivere ancora. Adesso che la sua mente si schiudeva Kouculanis vedeva la forma di quell’angoscia affiorare tra le profonde crepe che dividevano le incongrue parti della sua psiche, osservava quell’angoscia salire come un’onda di lava incandescente dalle viscere della terra. L’uomo che Kouculanis aveva di fronte, o qualunque cosa fosse quell’apparenza di uomo, emise un suono, come il gemito di qualcuno che stia per morire, e sussultò in un moto d’inequivocabile spavento guardando gli occhi sgranati di Kouculanis, poi scappò via infilandosi tra i cipressi che si alzavano oltre la lapide tombale. Kouculanis, sospeso nella vertigine che l’aveva avvolto, si ritrovò così nel vuoto lasciato dalla forma del tizio appena fuggito e fissando quel vuoto i suoi occhi misero meccanicamente a fuoco la lapide tombale davanti a sé su cui scorrevano accanto alla fotografia di un volto femminile una serie di lettere, un nome: Corinna Songa era il nome scritto lì sopra, e l’ultimo barlume di pensiero lineare cui Kouculanis ebbe accesso raccolse quel nome e vide attraverso di esso l’immagine di una madre e del proprio figlio, e in quel legame il destino del figlio che ora fuggiva come un topo spaventato attraverso le ordinate aiuole del cimitero. Dopo di che la mente di Couculanis deflagrò.

Qui stagione 1 ep.2

Luigi Saravo