LIFE EXPLORER stagione 1 ep.4
Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale LIFE EXPLORER è pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta.
Quei 56 km di spiaggia brillavano come una miniera d’oro a cielo aperto. Luke se ne stava seduto ad ascoltare il vento accanto alla sua tavola da surf in resina epossidica con la stessa gioiosa disposizione d’animo che James Cook ebbe la sensibilità di rilevare e trascrivere nei suoi diari quando vide per la prima volta dei polinesiani cavalcare onde a bordo di rudimentali tavole di legno. Le alterne fortune di Luke in campo surfistico non gli garantivano uno sponsor di proporzioni tali da permettergli di non lavorare ma, probabilmente proprio per questo, proprio per le sue notevoli qualità e per il fatto di non essere in grado di mantenersi con la sola attività sportiva, Luke era invece rientrato perfettamente nel profilo del Programma Sinergia della Life Explorer, cosa che chiudeva il cerchio della sua vita relegando all’esterno tutto quello che non fosse surf. Il ruolo che Luke ricopriva era semplice e delicato a un tempo. Semplice perché non doveva fare altro che garantire finestre temporali durante le quali si rendeva disponibile al Programma S., e delicato perchè attraverso di esse quello che faceva aveva un effetto profondo su chi durante l’apertura delle finestre temporali dedicate fosse in contatto con lui. Il Programma S. era di fatto un regolare servizio one-to-one della Life Explorer dove un Avatar era in relazione con un utente, con la sola differenza che in questo caso l’utente usufruiva del servizio gratuitamente, e questa differenza era dovuta al fatto che il Programma S. era un programma per utenti disabili, che costretti nelle loro case, ospizi di cura, ospedali, centri di riabilitazione, e simili, avevano modo di praticare indirettamente, attraverso il Programma, situazioni che altrimenti non avrebbero neanche potuto avvicinare, sognare, immaginare, e sperare. La scelta di queste situazioni poteva essere effettuata dall’utente disabile stesso attraverso un carnet che offriva soluzioni tra loro diversissime, dalla semplice passeggiata in strade di città, all’arrampicata libera, all’escursionismo, al paracadutismo, passando per un buon ventaglio di possibilità di scelta che comprendevano, appunto, anche il surf, come nel caso del nostro Luke. L’utente che aveva scelto Luke come proprio Avatar era una ragazzina islandese di diciassette anni di nome Leila, dai capelli rossi, lisci, non troppo lunghi, raccolti regolarmente in qualche tipo di treccia, o di treccine, occhi azzurri, e delicate efelidi che le colorivano il suo bianchissimo volto concentrandosi nella zona dei seni paranasali, che viveva la sfortunata situazione di ritrovarsi troppo spesso a casa senza la possibilità che qualcuno si occupasse di scarrozzarla in giro sulla sua sedia a rotelle. L’aspetto di Luke era invece semplicemente quello di un surfista, così come lo rappresenta l’iconografia tradizionale relativa ai surfisti bianchi con capelli chiari, niente di più, niente di meno, con tutti i pregi della categoria e con gli stessi rischi di banalizzazione. Il fatto che in questo caso utente e avatar si chiamassero Luke e Leila non era uno scherzo del destino, infatti la ragazza di nome Leila (fatto d’omonimia con la principessa Leila Organa derivato dalla mania dei genitori di Leila per la vecchia trilogia di Star Wars del ’77) era in realtà poco affine agli sport acquatici, e consultando il nutrito elenco di scelte possibili riguardo il suo primo Avatar si sarebbe volentieri rivolta ad attività terrestri anche di modesto impatto esperienziale, ma Leila aveva notato che da qualche parte nel catalogo della Life Explorer c’era un Luke (possibile altro sfortunato ragazzo con genitori maniaci per la vecchia trilogia del ’77 che gli avevano affibbiato il nome del potente Jedi, pensò lei) e questo pensiero la stimolò molto più che la notazione riportata sul catalogo a fianco del nome che indicava l’attività prevalente svolta dall’Avatar in questione, e così Leila si era ritrovata su dorate spiagge da 56 km, a danzare col suo fratello gemello della trilogia del ‘77 sulle bianche creste delle onde o nei tube che si andavano a formare sotto di loro.
Così, come ormai era sua abitudine, Luke quella mattina attendeva il collegamento con Leila che da lì a poco avrebbe avuto luogo attraverso i suoi occhiali-camera e visto che il il ragazzo portava nel suo robusto petto brunito dal sole un cuore da poeta starsene lì seduto sulla spiaggia comprendeva l’insieme di attività che in fondo Luke preferiva: ascoltare il fruscio del vento tra le orecchie, guardare il mutevole riflettersi della luce sulle onde, sentire l’odore di iodio e salsedine nelle narici, percepire il caldo battere dei raggi del sole sulla pelle, ascoltare il morbido affondare dei piedi nella sabbia, tutte cose che erano di fatto un’inconsapevole forma di meditazione e che Luke aveva imparato a praticare facendole divenire nel tempo l’imprescindibile momento precedente a qualsiasi avventura in mare. Insomma Luke era una persona sana e sanamente viveva, e dopo un indeterminabile tempo d’attesa sentì la voce di Leila farsi avanti dal profondo dell’auricolare che lo riportò dal luogo senza tempo in cui si trovava alla finestra temporale del loro incontro quotidiano.
“Buongiorno Luke, dove guardano i tuoi occhi stamattina?” “Buongiorno Leila, a te cosa sembra?”
“Mi sembra di vedere solo cielo, mare, e la linea di onde che li divide…”
“Se vuoi partiamo allora…” disse lui.
“Sì, io sono pronta, ho anche staccato il telefono…”
“Hai fatto bene, niente telefono… Allora si parte…” E Luke si alzò, raccolse la sua tavola, e si avviò verso la mobile linea d’acqua.
“Non mi fai vedere la tua faccia stamattina, uomo pesce? “ Luke si fermò. Sì, aveva dimenticato l’abitudinario protocollo d’avvio che aveva stabilito con Leila.
“Ok” disse cambiando direzione “ma non ti spaventare, ieri sera ho fatto un po’ tardi…”
“Grazie dell’avvertimento, collega” disse lei mentre Luke si avvicinava al suo Ford Transit per specchiarsi nel rettangolo verticale del grosso specchietto retrovisore esterno. Poi, in fondo, era solo questo che Leila cercava nella sua stanza 3×2 a 15.930 km di distanza da Luke mentre fuori dalla sua finestra soffiava un vento tagliente, solo poter ancora una volta guardare i suoi occhi e la sua bocca, montandoli poi nella propria mente alle altre porzioni di corpo che poteva osservare dall’inquadratura degli occhiali-camera mentre lui si muoveva, raccoglieva la tavola, surfava, si grattava, e mettere ogni volta assieme il puzzle incompleto del suo corpo che giorno dopo giorno lasciava annettere all’insieme nuovi dettagli mai visti di una spalla o di un braccio, o di un piede, o di un ginocchio, andando via via componendo un immagine che solo di rado e di sfuggita Leila poteva confrontare con l’immagine completa e indefinita del corpo di Luke che traspariva mentre lui passava casualmente davanti al riflesso di una vetrina del bar della spiaggia per esempio.
“Ecco” disse lui guardandosi nello specchietto retrovisore “magari dovrei anche farmi la barba, non credi?” e si passò la mano sulla guancia e sul mento mentre lei sussurrava a se stessa “No, non dovresti proprio far niente, Luke…”
Erano passate circa due ore di salti e discese tra le onde, Luke superò i frangenti sospingendo la tavola con potenti bracciate subacquee, spinse col ginocchio contro di essa come volesse bucare con la prua l’onda ripida che gli veniva incontro, e saltò su, mantenendosi basso sulle gambe e concentrando il peso sul piede di poppa con un movimento rapidissimo, proprio di fronte al picco dell’onda. Si portò sulla spalla del muro d’acqua cominciando a curvare, e risalito dall’accovacciamento, spostò il peso sul bordo interno della tavola giungendo sul lip per piegarsi ancora e acquisire accelerazione. Era uscito quasi completamente dall’onda, pronto a girare e rientrare, quando, intrapresa la manovra di anche e spalle che gli avrebbe permesso di voltarsi verso la parete d’acqua, qualcosa si intromise tra lui, la manovra che stava compiendo e l’energia cinetica del muro liquido discendente, qualcosa che a 15.930 km di distanza attraversò anche gli occhi della sua spettatrice e quel qualcosa, che era apparso e poi scomparso alla velocità d’un battito di ciglia sembrava lontano da qualsiasi concatenazione causale con quello che stava accadendo. Il momento in cui Luke perse il controllo della tavola, venendo sopraffatto e inghiottito dall’onda, la sua mente, o meglio i suoi occhi, così come gli occhi di Leila davanti al monitor del computer nella sua stanza, avevano raccolto un’immagine che lo aveva completamente assorbito e quest’immagine portava con sé un che di indefinito eppure di assolutamente reale, la cui suggestione spinse Luke, non appena riemerse dal turbinio d’acqua che lo aveva inghiottito, a tornare verso la spiaggia per andarsi a sdraiare sulla sabbia cercando di dare l’impressione di avere solo la necessità di riposarsi quando invece aveva solo bisogno di lasciar depositare quell’immagine e i suoi strani e ancora imperscrutabili effetti. Leila seguì sul monitor i passi del suo compagno nutrendo in cuor suo la medesima necessità di capire cosa fosse accaduto nei fugaci istanti in cui era finito tra le onde, e, quando Luke si sdraiò sulla sabbia lei affondò contro lo schienale della sua sedia a rotelle ed entrambe, come a voler riprendere fiato da quell’esperienza, chiusero gli occhi affidandosi ai loro microfoni e auricolari.
“Luke…” sussurrò lei.
“Sì?”
“Io…”
“Cosa, Leila…” disse lui come sospettasse quello che lei volesse dirgli.
“Cosa è successo, Luke?”
“Non lo so…E’ successo qualcosa anche per te?”
“Non lo so… Ho visto qualcosa, Luke…”
“Sì…” disse lui sentendo scivolargli via il velo d’angoscia che gli procurava il pensare di aver avuto un’allucinazione. “Anche tu, Luke?” chiese lei con delicatezza “Anche tu l’hai visto?”
“Sì…” rispose lui con un filo di voce.
“Eravamo noi, quelli?”
“Penso di sì, Leila”
“E dove eravamo?”
“Non lo so, sembrava una specie di sogno…”
“Sì, una specie di sogno luminoso…”
“Ma eravamo noi, noi, lì, in mezzo a quella luce?”
“Era il futuro, Luke?”
“Tu cosa credi?”
“Eravamo noi, in un posto che so che esiste, Luke… Forse una specie di galassia lontana. Forse come siamo noi in uno spazio che non è qui… Io lo so che quel posto esiste, Luke…”
“Esiste?” chiese lui con la voce che gli tremava.
“Sì, io lo riconosco. Quel posto è dentro di me.”
“Cosa dobbiamo fare, Leila?”
“Niente… penso niente… Luke. Penso che non ci sia proprio niente che dobbiamo fare”.
Luigi Saravo