LIFE EXPLORER stagione 2 ep.1

Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale LIFE EXPLORER è pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta.

Rod Sullivan imbracciò il suo skate facendolo saltar su con un colpo secco del piede, si girò il cappellino dei N.Y. Yankees con la visiera verso la nuca e si fermò a fare una rapida panoramica dell’incrocio aspettando che il suo Cliente gli suggerisse la direzione da prendere. Pensò per un istante che la connessione fosse saltata ma guardando nel piccolo visore integrato alla lente destra dei suoi occhiali camera poté immediatamente constatare di essere in linea. Si doveva trattare di una distrazione del suo Cliente che aveva ceduto a qualche stimolo al di fuori dello schermo del proprio P.C. e lo aveva lasciato lì, in stand by. Poteva godersi la leggera brezza proveniente da nord e riprendere fiato prima di continuare il suo viaggio nell’aria tremolante di luglio. Era il suo primo impegno operativo alla Life Explorer dopo il training preparatorio e si sentiva piuttosto soddisfatto vedendo ormai veleggiare lontano i nugoli d’ansia che avevano offuscato i primi minuti in cui era stato agganciato dal Cliente. Fin lì si era trattato di una cosa abbastanza semplice: girare per le strade del centro schivando passanti e auto senza che gli venisse chiesto di interagire con chicchessia. A un tratto, a qualche metro da lui, una bionda che sembrava lasciata passare appositamente per richiamare la sua attenzione fece veleggiare i lembi bianchi della sua corta gonna nel suo campo visivo e con piglio distratto gli lanciò un’occhiata. Rod nel medesimo istante sentì sussurrare al suo auricolare la voce del redivivo Cliente che diceva: “seguila”. Attraversò l’incrocio nella scia della bionda che si perdeva nel via vai di persone e affrettò il passo. Dopo qualche metro in cui pensò d’aver perduto la possibilità di eseguire l’indicazione del suo Cliente sentì di nuovo la sua voce che diceva nell’auricolare: “eccola, è lì, davanti a quel portone sulla sinistra”. Evidentemente quello che la sua attenzione non era stata in grado di raccogliere non era invece sfuggito al campo visivo della microcamera dei suoi occhiali e il Cliente, che intanto seguiva la scena dal suo P.C. in qualche sconosciuto angolo di mondo, avendo colto l’incertezza di Rod, gli era corso in aiuto per reindirizzarlo sulle giuste coordinate. Rod raggiunse quindi la bionda che intanto aveva estratto dalla tasca del giubbetto in lino viola che indossava le chiavi di quello che plausibilmente sembrava essere il proprio portone di casa e mentre si accingeva ad aprirlo si voltò verso Rod ormai a un passo da lei e gli chiese: “deve entrare?”. Rod rimase un momento interdetto ma il suo Cliente gli intimò: “invitala a bere qualcosa”. Rod sorrise d’un sorriso stentoreo e ripeté con voce ebete: “vieni a bere qualcosa?”. La bionda allora come se Rod fosse diventato immediatamente invisibile terminò l’operazione di apertura del portone ed entrò, lasciando che la pesante anta di vetro e acciaio cromato si richiudesse lentamente davanti a lui fino al definitivo clang che ne indicava la fine corsa. Il Cliente sussurrò tra sè e sè un suono di disappunto comunque percepibile attraverso l’auricolare, e nel visore integrato alla lente dei suoi occhiali Rod vide apparire il segnale che indicava l’off line.

Se ne stava impalato davanti alla pesante anta in vetro e acciaio ormai chiusa con un’attitudine che potrebbe essere adeguatamente esemplifica dalla metafora di uno stagno, o dal sostantivo stagnazione, dove la sua coscienza era l’opaco, immobile, specchio d’acqua melmosa e i sui pensieri i piccoli, inconsistenti, insetti che vi si muovevano sopra. D’improvviso, l’intero sistema fu animato da qualcosa che risuonò in lui come il tonfo di un enorme sasso che caduto nel bel mezzo del placido e maleodorante ecosistema riuscì a ridisegnare completamente la morfologia del territorio conferendogli un aspetto assolutamente irriconoscibile se confrontato col precedente. Infatti la bionda, alla distanza di qualche manciata di secondi dalla sua dipartita, lasciava riemergere la sua sottile figura attraverso il varco dell’anta che andava ad aprirsi e sorridendo disse: “sì, ma beviamo qualcosa da me, oggi è una giornata troppo calda per andarsene in giro”.

La prima cosa che Rod ebbe modo di incontrare nei suoi pensieri non fu il fatto che nonostante il tono deplorevole del suo invito di poco prima la bionda si fosse lasciata tentare dalla sua proposta e che la cosa tutto sommato poteva essere un corroborante nutrimento per lo stato storicamente non eccezionale della propria autostima, bensì la sua attenzione fu risucchiata dall’angosciosa speranza che il suo Cliente potesse essere per qualche strana, irragionevole, ragione ancora in linea. Gettò un’occhiata nel visore laterale dei suoi occhiali e la frustrazione sostituì in pieno il senso di corroborante nutrimento che la situazione avrebbe potuto offrirgli. Anche se comunemente processi psicologici di questo genere sembra impieghino tempi da battito d’ali di colibrì per realizzarsi la cosa non è del tutto e sempre vera, ma anzi questi processi possono a volte impiegare quantità di tempo inimmaginabilmente lunghe e Rod quando riemerse dal fondo dissestato dei suoi pensieri alla realtà che aveva attorno vide la ragazza che con sguardo interrogativo gli chiese: “tutto bene?”. Rod si sciacquò il cervello tentando un sorriso, celebrò il momento con un laconico “sì, grazie” e attraversò la soglia del portone seguendo la bionda che intanto procedeva all’indietro dicendogli “vieni, di qua”, indicando col suo affusolato dito indice inanellato l’accesso agli ascensori.

Probabilmente la confusione generata in Rod dalla sorpresa, dalla frustrazione di aver perso il suo Cliente, dalla sua congenita insicurezza, e dal suo primo giorno di lavoro, resero il percorso in ascensore un’esperienza asettica e priva di ogni segnale comunicativo da parte sua. La ragazza comunque per nulla in difficoltà di fronte alla catatonia del suo ospite aveva messo in atto un singolare comportamento che se isolato e visto dall’esterno avrebbe fatto credere a qualunque spettatore di trovarsi di fronte ad un interloquire attivo da parte di entrambe i partner. Infatti sul viso pallido e luminoso della ragazza si disegnavano tutta una serie di mutevoli espressioni dove lei dapprima sorrideva come se rispondesse al sorriso di lui, poi abbassava leggermente l’inclinazione della testa e lo guardava da sotto come se lui gli avesse suggerito un’ipotesi maliziosa, poi tornava a sorridere con dolcezza come di fronte a un gesto o commento di tenerezza, e così via in una solipsistica esibizione del proprio spettro espressivo senza che Rod contribuisse in alcun modo alla schermaglia. Al culmine della tensione Rod, quando erano ormai giunti al trentaseiesimo piano, trovò l’energia sufficiente per mormorare un ”ciao” che suonò così fuori luogo e slegato dal contesto da poter sembrare quasi ironico e ammiccante. A ogni modo, finalmente al piano, l’ascensore in specchi e cornici dorate di taglio minimalista si aprì e i due si inoltrarono nel lungo corridoio segnato nel centro da una striscia di moquette bordeaux e contornato da pareti ocra su cui si stendeva il ritmo sicuro delle porte in legno degli appartamenti. Il suo di appartamento, quello della ragazza, era piccolo, accogliente, iperarredato in stili divergenti che andavano da lampade liberty a poltrone zebrate e aveva una grande vetrata-finestra da cui entrava una luce chiarissima che si riverberava sulla miriade di oggetti scintillanti dell’interno. A guardarla così, allungata sul divano bianco su cui si era lasciata cadere, nel suo sorriso vagamente artefatto, nella sua corta gonna bianca che le lasciava scoperte le gambe lunghe e sottili, nei suoi capelli liscissimi, biondissimi, tagliati in un caschetto anni sessanta, nel suo corto giubbotto in lino viola che ora si toglieva scoprendo le spalle delicatamente nude e mobili, a Rod sembrò di avere davanti una di quelle modelle stampate sulle copertine di Cosmopolitan che sua madre teneva ordinatamente sul vecchio tavolo del soggiorno e si meravigliò che una ragazza come quella, decisamente fuori target per lo skater sfigato che aveva sempre creduto di essere, avesse potuto avere un’attenzione così sfacciata e decisa nei suoi confronti, e pensò con devozione e un certo senso di colpa alle parole del vangelo che dicevano “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto” e pensò che forse parte della sua vita sessuale era andata smarrita solo per la sua deplorevole mancanza di fede che gli aveva sempre fatto escludere che ragazze di tal genere si potessero interessare a lui e che gli aveva sempre fatto ignorare l’evidente, limpida, immediata, possibilità di fronte a tale genere di ragazze semplicemente di chiedere e bussare e alla fine di lasciarsi aprire. Dimenticò i suoi occhiali camera, dimenticò il suo nuovo impiego, dimenticò la sua congenita insicurezza, ma non dimenticò il suo Cliente che non aveva saputo avere fede nelle possibilità del suo giovane skater e nelle scritture e andò a sedersi accanto alla ragazza che bypassando senza nessun riguardo la storiella del “bersi qualcosa assieme” che li aveva portati fin lassù mise la mano sulla coscia di Rod, e avvicinando la propria bocca a quella di lui scivolò lungo la seduta in pelle del divano tirandoselo dietro. Fu nel momento immediatamente successivo che Rod perse l’occasione per comprendere le profonde dinamiche alla base dell’evento in cui era ormai totalmente e irrimediabilmente immerso. Fu quando lui, ormai sopra di lei, fece per togliersi gli occhiali/camera e lei lo fermò dicendo: “lascia”. Rod era troppo preso dai potenti cambiamenti biochimici che avvenivano nel suo corpo per far caso alla cosa e lasciando stare gli occhiali passò a slacciare la sottile camicia smanicata di lei, ma era proprio in quel “lascia” che risiedeva il reale polo d’attrazione per la ragazza. Era ormai cosa nota quella degli Avatar Explorer e praticamente ormai tutti sapevano che indossassero degli occhiali/camera con cui si connettevano a dei Clienti Explorer che indicavano loro azioni e quant’altro, ed era altresì noto a tutti che per le restrittive leggi sulla privacy ogni interlocutore occasionale di un Avatar Explorer sarebbe comparso negli schermi dei device dei Clienti con i lineamenti del volto opacizzati e una lieve deformazione vocale. La cosa stava riscuotendo un certo successo da quando era stata introdotta poco meno di ventiquattro mesi prima e come ogni onda emergente solleticava la curiosità della massa e induceva chiunque incontrasse un Avatar Explorer e avesse la capacità di riconoscerlo notando il particolare modello di occhiali camera ad avere le reazioni più disparate, dal rifiuto all’esibizionismo, e molto verosimilmente la bionda, apparente preda del fascino da skater sfigato di Rod, apparteneva a quest’ultima classe esibizionistica e si sentiva piuttosto eccitata, come dimostravano le laute produzione fisiologiche della sua vagina ora tra le dita di Rod, all’idea che qualche spettatore sconosciuto avrebbe potuto osservarla, per di più a pagamento, mentre consumava un atto sessuale senza che, peraltro, nessuno potesse riconoscerla proprio in virtù delle severe e ineludibili normative sulla privacy cui l’attività che Rod rappresentava era stata vincolata. Comunque a pochi passaggi dall’inizio del loro scivolare lungo la seduta del divano gli occhiali di Rod segnalarono nel visore integrato alla lente destra che lui fosse di nuovo in linea (con il precedente Cliente o con il presidente degli Stati Uniti in persona a quanto lui ne potesse sapere) ma in ogni caso la faccenda in cui si era ritrovato aveva mobilitato sufficienti energie motivazionali per trascurare quel pur notevole evento.

Qui, stagione 1 ep.1

Luigi Saravo