LIFE EXPLORER stagione 2 ep.5

Nel 2025 il progetto di piattaforma multimediale LIFE EXPLORER è pienamente operativo. Ora, ogni utente può connettersi ad un operatore della piattaforma e attraverso di lui esplorare luoghi e situazioni nel pianeta.

Spazzolò accuratamente i denti con la solita accortezza a tenere ben chiusa la bocca e dopo l’ingrato tentativo di farlo verticalmente inghiottì il dentifricio commestibile, succhiò un paio di sorsi d’acqua dal dispenser con cannuccia sciacquando la sua cavità orale, e si pulì la bocca con la salviettina umidificata, poi, rimpiangendo il sacco a pelo che l’aveva ospitato fino a qualche minuto prima, pensò, e non senza disappunto, che quella mattina, sempre si possa definire tale il ritiro dei pannelli oscuranti dalle superfici vitree degli oblò, avesse fame. Si spostò prima di tutto, nel modulo Zvezsta nutrito dalle vaghe speranze che il movimento appena accennato del suo intestino gli suggeriva, si assicurò alla toilette con le cinghie, e si sedette in corrispondenza del tubo d’aspirazione facendo attenzione che le sue natiche aderissero perfettamente alla cornice metallica, lasciò passare inutilmente quei 5 minuti in cui il suo apparato digerente periferico gli comunicò con impassibile fermezza che anche oggi nulla si sarebbe mosso e accompagnato dalla sottile e pervasiva frustrazione che ogni mancata espulsione di materia organica dagli appositi sfinteri gli regalava si spinse, ancorandosi alle pareti dei corridoi, verso il modulo di sussistenza per consumare la sua colazione. Ritirò dal modulo il pacchetto di colore blu che stava a indicarne la provenienza europea, impugnò una porzione liofilizzata di succo d’arancia che si affrettò a reidratare, aprì la confezione irradiata di alluminio della carne e la lasciò fluttuare per qualche istante concedendosi un primo sorso di succo d’arancia mentre si interrogava sulla necessità di un lassativo che magari avrebbe dato una svolta alla giornata. Finita la colazione ascoltò se il fresco contenuto del suo stomaco avesse voglia come ogni mattina di essere immesso negli appositi sacchetti per il vomito, e vagamente rassicurato dalla stabilità del tutto, fluttuando nuovamente per i corridoi, raggiunse il tapis roulant, vi si agganciò attraverso gli elastici gravitazionali, e a dispetto della delicata condizione del suo organismo si sparò 60 minuti buoni di attività antistress ad alto impatto durante i quali ebbe modo di ripassare mentalmente la sequenza di controllo dell’airlock per le attività extraveicolari. Quando finì, sganciò i connettori degli elastici dal tapis roulan e si accorse che Kir era là che lo guardava, silenzioso e immobile, dal suo visore a lenti brunite. Dopo alcuni secondi di sospesa inattività Kir, producendo un lieve ronzio elettrico dall’articolazione delle caviglie, si staccò dal fondo del modulo spingendo con i suoi piccoli piedi contro la parete curva e si diresse verso di lui. Guardarlo avanzare in caduta libera controllata, così simile a un bambino chiuso in un’armatura al carbonio dal volto perennemente sorridente, era l’unica cosa che lo riuscisse a distrarre dal continuo rimuginare intorno alle funzioni del suo corpo fuori sesto.

“Buongiorno Elias” gli sussurrò Kir con la sua voce metallica e infantile.

“Buongiorno Kir” rispose lui assecondando un mezzo inchino.

“Come vanno oggi le cose, comandante?”

“Ho ancora un po’ di vertigini” rispose lui estraendo dal contenitore le salviettine detergenti e cominciando a ripulirsi dal sudore.

“C’è qualcosa che posso fare per te?” disse Kir mettendoglisi davanti con una posa alla Peter Pan e continuando a fluttuare lentamente verso di lui.

“Vorrei andare a dare un occhiata dal modulo Cupola…” rispose Elias interrompendosi in una smorfia.

“Il tuo battito cardicaco è accellerato, Elias”

“Ho un po’ di nausea che non mi lascia stare stamattina” “Potremmo prendere qualcosa per mandarlo via se credi” “Grazie, Kir, non fa niente, passerà. Forse ho anche esagerato con il tapis roulant.

Elias allugò il suo indice, Kir ronzando gli avvolse il dito nella minuta mano a tre dita, e attaccandosi ai corrimano galleggiarono insieme verso l’uscita. Arrivati al modulo Cupola si avvicinarono al largo oblò che che si protendeva concavo verso lo spazio esterno e stettero a guardare. La Terra emergeva dal buio come una bolla luminescente e la sua trasparenza mostrava ampie zolle continentali che si perdevano in striature chiare, come se un’invisibile, lentissima, rotazione lasciasse scie dai contorni azzurrognoli di quelle grandi masse più dense. I due stettero lì ad osservare la lenta deriva di quell’incandescenza liquida che scorreva davanti a loro fino a quando Elias disse: “Vediamo cosa succede a casa, Kir, vuoi?”

“Certo” rispose lui ruotando la testa in direzione del Thinkpad infilato per metà nel portaoggetti alla parete. Staccò la sua mano dal dito di Elias e lui lo spinse con delicatezza in direzione del vano. Arrivato al Thinkpad Kir lo estrasse dal portaogetti e tornò indietro.

“Grazie” disse Elias aprendo il dispositivo e accedendo al desktop, poi digitò brevemente sulla tastiera, l’homepage della Life Explorer si aprì, e Kir si mise alle sue spalle per guardare. Elias verificava la lista degli Experiencer attivi. Ce n’erano un’infinità, tanti da gremire lo spazio della mappa del pianeta come lampadine su un albero di Natale e nell’imbarazzo della scelta Elias chiese: “Dove andiamo, Kir?”

“A caso ovviamente, Elias, non credi?”

Elias selezionò il primo contatto che si ritrovò sottocchio ed ebbe accesso a un Experiencer a Berlino. L’Experiencer stava inquadrando attraverso i suoi occhiali-camera lo schermo di un computer su cui era riportato il punto di vista di un secondo Experiencer. Quello che si vedeva dalle specifiche del contatto sul monitor era che il secondo Experiencer si trovava a Los angeles ed era evidentemente anche lui in contatto con un’ulteriore Experiencer attraverso il proprio computer. La cosa non finiva lì, poiché anche l’Experiencer di Los Angeles era in contatto con un successivo Experiencer il cui punto di vista lo mostrava intento a osservare una schermata del sito davanti a sé, e così via, in una serie di punti di vista che si spingevano da uno schermo al successivo, come si trattasse di una sequenza di porte che si aprissero l’una nell’altra, fluttuando l’una nell’altra, in una specie di infinito corridoio, di interminabile successione di finestre ognuna delle quali non era altro che uno schermo aperto sullo schermo che lo seguiva, senza che se ne potesse vedere il fondo, senza che si potesse individuare un’ultima immagine del mondo reale. Elias guardò le specifiche del contatto di Los Angeles con cui il proprio Experiencer di Berlino era collegato e si collegò direttamente a lui lasciando il tedesco, poi fece lo stesso con l’americano, e si spostò su un Experiencer in Cornovaglia, e continuò così, rilevando le specifiche dei contatti e procedendo da Experiencer a Experiencer , ritrovando sempre la medesima condizione, con l’unica differenza che il display di un computer poteva essere sostituito da quello di uno smartphone o di un tablet, accedendo solamente ad un passaggio identico al precedente. Era una gigantesca rete di connessioni che sembrava ripiegata su se stessa in attesa che qualcosa, un qualsiasi contenuto l’attraversasse, una rete in cui forse milioni di persone erano collegate generando un infinita serie di volute, un’architettura spiraliforme di immani dimensioni al cui interno scorreva solo la sua stessa immagine, milioni di connessioni sinaptiche pronte a veicolare qualunque possibile movimento e capaci solo di generare sè stesse, una rete neurale autoreferenziale, un’enorme massa encefalica che raccoglieva l’intero pianeta, capace di pensare solo se stessa. Elias sentì crescere le vertigini e la nausea cominciare a spingergli lo stomaco, staccò gli occhi dalla schermata del Thinkpad e fissò ancora una volta lo sguardo oltre l’oblò, nello spazio che aveva di fronte, dove il pianeta luminescente continuava a scorrere sotto di loro. Kir si spostò al suo fianco, di fronte all’oblò ricurvo, puntando il suo visore oltre la superficie trasparente. Stette così, accanto ad Elias, immobile, poi senza staccare lo sguardo dal paesaggio disse: “Sì, Elias, è lì, è quella la tua casa”.

Qui stagione 2 ep.4

Luigi Saravo