Nas Race

La Chevrolet Camaro monta due motori elettrici da 400 CV capaci di svillupare 2440 Nm di coppia ciascuno. Praticamente è rimasta solo la carrozzeria gialla e nera disegnata nel 1970 a ricordare cosa fosse.

Il resto, dalle sospensioni ai sistemi di controllo automatico, agli stabilizzatori giroscopici, ai detrattori di potenza M, alle videoscannerizzazioni Rotard, tutto, ogni singolo pezzo, è stato rimodulato per le Nas Race.

Il sibilo dei motori è comunque agghiacciante. Un frigorifero che dà l’impressione di poter viaggiare alla velocità del suono. Ma la vera chicca qui, con la Camaro come con le altre che si presentano alle 5 del mattino per una Nas Race, è il posto di guida. Una sedia da gaming X Rocker Pro Series dei primi decenni degli anni 2000 con rinforzi di contenimento laterali e braccioli muniti di cinghie per agganciare gli avambracci è piantata come unica seduta centrale davanti al cruscotto da cui si allunga un Controller Dualschock 4 anche quello della stessa annata.

Di fatto una postazione da gioco dentro un mostro da 800 CV.

Vassily fa gli ultimi controlli.È un nostalgico dell’ex impero delle Sojuz Sovietskich Socialističeskich Respublik, del peso di 140 chili, la testa rasata, sulla nuca un tatuaggio che rappresenta una falce e martello incrociati, gilet di pelle da cui spuntano due braccia enormi con tatuaggi inneggianti alla grande madre Russia, e un umore nero facilmente percepibile da ogni movimento del suo corpo.

Le strade a ridosso della Tokyo Tower sono illuminate dalle ultime luci dei lampioni e dall’alba che annuncia il suo arrivo. A pochi metri dalla Camaro di Vassily si ferma sibilando la Nissan Gt-R Nismo Electric Glide di Kouranaschi. Lì il giovanissimo pilota della banda dei Kokyen è già a bordo. Mastica un chewing gum, si aggiusta il casco, e muove freneticamente le piccole levette analogiche multidirezionali del suo controller verificando gli angoli di sterzata sull’interfaccia grafica integrata al cruscotto. Le altre vetture si dispongono nelle vicinanze.

Sono la Kursall di Hanoy e la Bentley Continental E degli inglesi. Manca solo Mirna all’appello. Vassily grugnisce e si dirige a lunghi passi pesanti verso il furgone nero parcheggiato poco più indietro. Spalanca la porta e vede all’interno Mirna seduta di spalle con le cuffiette nelle orecchie. La chiama col suo accento russo e la voce roca ma la ragazzina non si volta. Si avvicina, le prende le ciocche di capelli neri che le scendono irregolari dalla testa, e le strappa via le cuffiette. Mirna mugola senza reagire, Vassily la tira su per i capelli e la fa scivolare sul sedile accanto, poi si siede, estrae dalla tasca del gilet un astuccio, lo apre, estrae una fiala, poi una siringa che mette tra i denti, spezza la cima della fiala, ne aspira il contenuto giallognolo con la siringa che rimette tra i denti, prende il laccio emostatico dall’astuccio, scopre il braccio di Mirna, vi annoda intorno il laccio e batte sull’incavo del gomito dove piccoli lividi le tempestano la pelle bianchissima.

Mentre infila l’ago nella sua vena e le inocula il liquido le guarda gli occhi per controllare l’effetto, e le pupille della ragazzina si contraggono rapidissime per poi dilatarsi a dismisura andando a lasciare solo un esile cornice del verde dell’iride. Il russo scioglie il laccio emostatico e prendendo Mirna per l’esile polso la trascina fuori. Lei lo segue catatonica fino alla Camaro, indossa il casco che lui le porge estraendolo dall’abitacolo ed entra. Vassily si china su di lei, la assicura al sedile stringendo le cinture, le fissa i polsi ai braccioli con le cinghie, e le mette in mano il controller.

Ora le auto sono schierate davanti all’ampia strada illuminata dal chiarore dell’alba crescente. Dietro ognuna delle auto, così come Vassily, gli altri proprietari delle Nas controllano sugli schermi dei loro smarthphone il tracciato della corsa che si snoda rosso lungo la mappa di New Tokyo. In testa alla mappa si muovono rapide le sequenze numeriche degli scommettitori collegati al momento. Vassily bofonchia qualcosa di incomprensibile e urla il nome di Mirna. La ragazzina all’interno dell’abitacolo guarda davanti a sé mentre fa scorrere le dita sul controller azionando le luci esterne che indicano l’accesso alle procedure di partenza. Ognuna delle auto sibila con i segnalatori che lampeggiano accanto ai paraurti posteriori. Sullo smartphone di Vassily compare un timer che compie un conto alla rovescia e il verde che invade lo schermo innesca all’interno della Camaro il segnale acustico della partenza. Le auto accompagnate solo dal sibilo dei loro motori e dallo stridere delle ruote sull’asfalto schizzano in un’accelerazione vorticosa che alza il muso della Camaro come si trattasse di un decollo. All’interno Mirna legge sul cristallo del parabrezza le immagini trasparenti che le indicano in rosso il percorso della gara sovrapponendosi alla strada che scorre davanti a lei.

La velocità con cui le quattro auto attraversano incroci, curve, e rettilinei è spaventosa, e dichiara che ogni errore porterebbe a un Game Over definitivo per auto e pilota. I quattro al volante hanno dagli undici ai tredici anni e sui loro volti è disegnata la stessa, impassibile, piatta, espressione. Le loro occhiaie raccontano delle migliaia di ore passate davanti ai computers simulando corse all’interno di videogiochi, e i loro riflessi si muovono in frazioni millesimali di secondo impossibili da eguagliarsi per qualunque pilota cresciuto su normali circuiti.

Nello sguardo di Mirna, nelle sue pupille nere e profonde, si insinuano immagini involontarie innescate dai neurostimolatori che le vengono iniettati prima di ogni gara. Appaiono fotogrammi che si materializzano fulminei ai bordi della strada davanti a sè, come fossero parte del paesaggio di palazzi e lampioni, come si trattasse di cose reali che lei percepisce appena prima che vengano ingoiate dal suo avanzare. Sua madre col volto mangiato dai vermi, le sue antiche amiche sedute sulla panchina del parco, la vecchia casa dove aveva abitato prima che suo zio vendesse lei a Vassily, frammenti della sua vita che si dissolvono al suo passaggio.

La Bentley E infila la curva riuscendo a passare all’interno e Mirna se la vede sfilare davanti mentre quella si unisce alla Kursall di Hanoy che viaggia in testa. Vassily urla dai microfoni integrati nel casco stupida puttana! e Mirna batte le palpebre scuotendo lievemente la testa, come avesse ricevuto uno schiaffo.

La strada inghiotte le auto in un tunnel dove anche la Nissan tenta un sorpasso. Mirna la vede al suo fianco voltandosi istintivamente quando il muso dell’auto avversaria si affaccia nella periferia del suo campo visivo. Il profilo del volto del pilota le dice che è uno nuovo e solo adesso le torna in mente la stupida morte del suo predecessore quando ormai la gara era finita. Rivede il sangue che sgorgava dal suo orecchio mentre gli toglievano le cinture di sicurezza e gli slegavano i polsi.

«Ti uccido!» urla intanto Vassily nel casco.

Mirna vede la fine del tunnel. Vede la luce rosata dell’alba stagliarsi dietro gruppi di alberi fluttuanti sotto il vento del mattino e prova un’infinita, immotivata, nostalgia. Forse per qualcosa che non ha nemmeno vissuto. Forse solo per quella luce, per la sua delicata bellezza che non gli apparterrà mai. I suoi occhi lasciano cadere lacrime senza che il viso moduli alcuna espressione. Il tunnel termina e lei si ritrova nel giorno che le si apre davanti. Le sue dita tentennano sui comandi e perde terreno. La Nissan le passa davanti e neanche la voce di Vassily si scomoda per commentare quel che accade.

Lei sa cosa succederà. Lo sa benissimo. Le cicatrici sul suo collo sono lì a ricordarglielo, bruciano, e lei abbassa il mento per poterle sfiorare.Poi un pensiero si fa avanti, le affiora alle labbra, e sente la propria voce dire perché.

Lo stupore di aver ascoltato la propria voce che da sola pronuncia parole le fa scuotere la testa, battere gli occhi, come se anche adesso uno schiaffo l’avesse colpita, uno schiaffo di una natura completamente diversa, come se qualcuno o lei stessa volesse svegliarla. Respira. L’aria le entra nei polmoni e la testa le gira.

Perché? Perché lei è lì ora? Cosa può trattenerla ancora lì, adesso che la sua vita è ormai morta?

D’un tratto tutto si fa chiaro. Mirna guarda la mappa che disegna in trasparenza sul parabrezza il percorso della gara. La linea rossa che vi scorre sopra segue una curva che si dirama da un incrocio. Dall’altra parte dell’incrocio una strada corre dritta e vuota verso il sole che si rifrange in lame di luce sul selciato. In fondo, lontano, su quella strada, si vede la linea gialla d’una spiaggia su cui, lente, brillano allungandosi le onde. La luce è morbida e sale. Le lacrime hanno il sapore del mare.

di Luigi Saravo