Notte

Attraverso il cristallo dell’oblò osservo scendere la notte sulla Terra. Qui a 400 km in orbita lo spettacolo è ogni volta straordinario. Interrompo le sequenze di ripristino del sistema operativo del MUG e fisso gli occhi fuori.

Il sole è in alto, oltre la curvatura del pianeta, e lentamente lo vedo scendere verso la linea del suo orizzonte. La luce è accecante e abbasso il visore per non ferirmi gli occhi. Il brillare della stella rende visibili isole e continenti circondati dal blu dell’oceano, puntellati dal bianco delle nuvole che vi si adagiano sopra. E la sua luce scende. Sfiora la Terra, lasciando striature di raggi che si allungano, dissolvendosi contro l’oscurità che sale.

È così fragile quello che vedo. Il delicato equilibrio di questa danza che attraversa il tempo mi regala una commozione che non so spiegare, come se qualcosa si stesse ad ogni istante perdendo, come se la nostalgia per ognuno di questi momenti mi dicesse che prima o poi io non sarò più parte di loro, che questa bellezza continuerà impassibile dopo di me, senza di me.

La sfera incandescente viene via via ingoiata dalla linea della Terra, affonda dietro di lei, ma la sensazione, quello che i miei occhi raccolgono, è che quella sfera diventi sempre più piccola, come se invece che affondare si allontanasse, o io mi allontanassi da lei.

L’ho visto accadere innumerevoli volte da quando sono a bordo, eppure ogni volta qualcosa in me vuol farmi credere che sia l’ultima, come se il mio corpo non ne volesse sapere di quello che il mio pensiero conosce, come se il morire in lontananza della luce fosse il punto di non ritorno verso una notte eterna.

Ora la sfera del sole è divenuta un piccolo punto luminoso sull’apice della Terra e disegna sul suo perimetro ricurvo una striscia bianchissima. Il punto scompare e la scia luminosa comincia ad assottigliarsi, mostrando sfumature di colore in continuo cambiamento, mentre terra e mare sotto di lei divengono sempre più sfumati, affondano nel nero che li assorbe, scompaiono. La scia è un margine esile sotto cui la Terra si confonde col buio del cielo. E la notte compare anche dentro di me. Come se i miei pensieri divenissero sogni e in loro potessi leggere in trasparenza tutto quello che vive nel profondo della mia anima senza che io nemmeno sappia farci caso. Le paure senza nome di bambino, i desideri di cose mai vedute, le forme oscure della mia memoria, senza immagini, popolata solo dagli echi emotivi che gli appartenevano.
Eccomi, sono qui. Mi sono spinto nello spazio per esplorare il luogo più lontano e vedo che quel luogo è dentro di me, che è sempre stato qui, e che non so nulla di lui.

Adesso il buio è sceso davanti ai miei occhi, oltre il cristallo dell’oblò, e vedo riflettersi su quel cristallo la mia immagine, illuminata dalle luci del modulo in cui mi trovo. Sono invecchiato da quando sono qui. Sono invecchiato senza riuscire nemmeno ad accorgermene. Come se tutto si muovesse lentamente e solo il tempo corresse velocissimo.
Aspetterò la luce tornare. Mi metterò qui e l’aspetterò arrivare. É troppo buio ora là fuori, e non c’è nemmeno un dio, nel frattempo, che io possa pregare.

Luigi Saravo