Sandy e il Google I/O
La prima sensazione avuta dall’incipit del Google I/O di quest’anno mi ha fatto pensare alla tragedia greca. La cavea all’aperto che ospita l’evento ascolta le note di due musicisti che animano con le loro mani delle lunghe corde tirate da un capo all’altro dello spazio estraendone suoni ipnotici e un terzo, dopo di loro, produce altri suoni da una consolle sul palco, mescolando strumenti digitali e a percussione. Poi, ecco che entra un uomo.
È il portatore di notizie, il messaggero. La comunità assiepata nel teatro è la parte visibile di una comunità più ampia, raccolta attorno all’evento e dislocata nel pianeta. Questa comunità aspetta lui, il portatore di notizie, che tra poco racconterà ciò che si è svolto dietro le quinte, sul campo di battaglia, una battaglia consumata tra le forze tecnologiche e un mondo reale da soggiogare. Gli uomini e le donne di questa comunità umana globale attendono le sue parole perché sanno che in quelle parole è racchiuso un momento del loro futuro. Qui, in questo teatro, ciò che si rappresenta è essenziale per la sopravvivenza di quella comunità, attraverso di esso gli spettatori sapranno di qualcosa che toccherà le loro vite e che, forse, potrà cambiarle. Ecco, in questo teatro così simile all’architettura del teatro greco, si esplica oggi una funzione diversissima e pure per certi versi analoga a quella greca, una funzione essenziale, una catarsi, una purificazione, che ci restituirà al mondo con una maggiore fiducia nel reale, nella nostra possibilità di esperirlo, nella nostra possibilità di comunicare attraverso di esso, di emanciparci un po’ di più dalla fatica del percorrerlo, perché quello che in questo teatro viene raccontato è il modo attraverso il quale la Tecnica ci permetterà di emanciparci dal giogo della farraginosa, logorante, imprevedibile realtà, sempre di più, fino a quando avremo la possibilità di tornare nel paradiso perduto, dove basterà pensare le cose perché le cose accadano, dove tutto sarà sempre disponibile, dove, chissà, forse anche la morte sarà vinta.
Ma facciamo un passo indietro, un passo piuttosto lungo, e in questo caso, certamente più lungo delle nostre gambe. Alcuni milioni di anni fa. Africa centro orientale. I primati che la popolano non hanno nomi propri ma noi ne scegliamo uno, è una femmina, e la chiamiamo Sandy. Se zoomiamo con Google Earth in quell’anfratto di foresta in cui Sandy si trova, la vediamo appollaiata su uno dei numerosi e fitti alberi battuti dalla morbida brezza proveniente dal mare ad oriente.
Sandy sarà l’essere cui faremo percorrere un tempo molto più lungo della vita che l’aspetta. Le concederemo di vivere una vita che attraverserà successioni di generazioni e le daremo la possibilità di evolversi in questo cammino. Sandy è fortunata. Il suo muso rosato, circondato da morbida peluria castana, ha dei lineamenti che sembrano un perenne sorriso. Vive sugli alberi e può non scendere mai, spostandosi da albero ad albero. Vivere così le dà due fondamentali vantaggi: la protegge dai predatori di terra e le rende disponibile il cibo, sempre, ovunque. È inutile dirvi cosa questo significhi per lei, da un lato perché ognuno di noi lo sa, dall’altro perché lei non lo sa, come tutti gli esseri felici dopotutto. Ma adesso le cose stanno per cambiare. Le zolle tettoniche in profondità, proprio sotto il terreno su cui si levano i verdi alberi di Sandy, si mettono in movimento, la terra si arriccia, come fosse una tovaglia che venga spinta da due lati verso il centro, e sorgono montagne. Certo, Sandy ha avuto paura e possiamo capirlo, ma ora, tutto, ancora una volta tace. Il paesaggio, quello sì è mutato. Ora il bosco di Sandy è separato dal mare da una catena montuosa dietro la quale ogni mattina sorge il sole. Le correnti provenienti dal mare non accarezzano più il mondo di Sandy e quel mondo comincia a cambiare. Gli alberi non crescono più come prima e lentamente il bosco si dirada. Ora Sandy, rimasta per un po’ a vivere su tre alberi rimasti vicini, ha finito tutto il cibo lì disponibile. Non vorrebbe scendere ma a una ventina di metri da lei c’è un altro albero. Sandy è divisa da lui da venti metri assolati e non ha mai pensato di doversi trovare un giorno a scendere dal suo mondo arboricolo, ma lì c’è cibo. Può vederlo anche. I frutti brillano carichi di colore nella luce che filtra tra i rami. Sandy allenta la presa del ramo che impugna e scivola lungo il tronco. È a terra ora. È a rischio ora. Lo sa. Corre attraverso quei venti metri come può, lei che a correre non è abituata, arriva sotto al tronco dell’albero e si ferma. Per arrampicarsi sul tronco deve spingere con le zampe posteriori sul terreno. Lo fa, mentre con quelle anteriori percorre la corteccia verso l’alto. Non potrebbe tirarsi su senza appoggiarsi sul quel tronco, i suoi muscoli non sono abituati a compier quel gesto, non lo sono le sue ossa. Ma lo fa. Ora è dritta, in piedi su due zampe, le altre due contro l’albero a sostenersi, e la sua testa, per la prima volta è sullo stesso asse della schiena, anche lei dritta. La gola cambia assetto, la sua lingua si dispone in modo inusuale dentro la bocca e lei senza pensarci emette un suono, un suono che non aveva mai prodotto prima. Ecco il resto della storia lo conosciamo. Sandy ora, oggi, è seduta nella cavea del teatro del Google I/O e aspetta che il messaggero possa spiegarle come farà a tornare nel suo paradiso perduto.

Durante il Google I/O si è parlato essenzialmente di due temi: il machine learning (una forma di intelligenza artificiale) e il multitasking, o almeno, questi sono i temi che mi hanno più coinvolto. Si è parlato di machine learning presentando Google Home, un hardware che disposto nelle nostre case -o meglio nelle nostre smarthome- ci permetterà di interagire vocalmente con l’abitazione regolando accensione delle luci, spegnimento del forno, scelta musicale, allarmi, e poi anche di poter ordinare una pizza, e se il rivenditore di pizza sarà anche lui abbastanza evoluto, e ce ne sono, non ci sarà bisogno nemmeno di dire di che pizza si tratti perché lui conosce i nostri gusti per via delle nostre precedenti ordinazioni e ce le farà consegnare da un drone con tanto di bevanda preferita annessa, non sto scherzando. Poi si è parlato ancora di machine learning per il nuovo sistema di messaggistica, il quarto credo per Google. Un sistema che implementa la nostra possibilità di comunicare, per esempio, con un cursore che ci permette di aumentare la grandezza del messaggio di testo o dell’emojii che stiamo inviando per enfatizzare espressivamente quello che diciamo, e che se, per esempio, ci viene inviata una foto (e sta qui l’intelligenza artificiale in azione) interpreta la foto, definendo se si tratti d’un cane o di un piatto di linguine, e offrendoci una serie di risposte predefinite, costruite sull’esperienza che ha guadagnato nel rapporto con noi, ovvero quel ventaglio di risposte che saranno state elaborate tenendo conto di come noi rispondiamo usualmente a determinati stimoli esterni, facilitando così la nostra esperienza comunicativa, aiutandoci a digitare e pensare meno, e facendola così in barba a quei venti metri assolati che Sandy si trovò a percorrere il fatidico giorno. Il che, il tutto, indica quindi che la tendenza è quella di farci impiegare sempre meno energie e risorse per fare quello che facciamo, e se adesso immaginiamo un non troppo vertiginoso salto in avanti possiamo pensare che la linea di tendenza potrà trovare la sua dead line solo il momento in cui ci basterà pensare a qualcosa per farlo, anzi nemmeno ci servirà pensare in maniera compiuta, ci basterà il prodromo di un pensiero, forse un desiderio diffuso e sfocato cui verrà data una soddisfazione prima che possa diventare un desiderio compiuto.
E poi, dicevamo, il multitasking. È stato presentato Android N, una versione beta, open beta. Qui troviamo degli upgrade e poi, tra le molte interessanti cose, un passo in avanti verso un multitasking evoluto, più fluido, più efficace. Il che significa che Google, come altri del resto, ci sta spianando la strada per poter fare più cose possibili contemporaneamente, e se colleghiamo il multitasking al machine learning possiamo dire che la tendenza sia di fare più cose possibile contemporaneamente con il minor sforzo possibile.
Ci sono state altre cose nel Google I/O di quest’anno, cose di cui varrebbe la pena parlare, portate da messaggeri diversi, abili, diretti, interessanti. Ma vorrei concludere qui con una considerazione che sia capace di mettere a fuoco il tema di quest’articolo e il ruolo di Sandy. Spesso sento dire di come Google direzioni le nostre vite, orienti i nostri desideri, imponga delle strade da seguire alla ricerca e al mercato. No. Ci sono altri fattori, due in particolare, che operano in questo senso e Google è in qualche modo molto più passiva di quello che a volte vogliamo pensare. Uno, il fatto che non è vero che noi sperimentiamo la Tecnica e quindi la tecnologia, ovvero che noi a partire da esigenze personali cerchiamo possibilità tecniche. È la Tecnica che sperimenta se stessa attraverso di noi. Secondo, Google, per la poca parte di autonomia che la Tecnica vista come entità gli permette, risponde a delle esigenze, alle esigenze dei consumatori, degli esseri umani, e la domanda che l’essere umano costantemente fa è come tornare lì, insieme a Sandy, quando solo un sorriso era la sua espressione, quando ancora non sapevamo cosa fosse la felicità perché eravamo noi la felicità. E poi ancora di più. L’essere umano vuole essere ovunque, con il minimo impiego di energia, sempre, da sempre, in un luogo dove il pensiero sia il ventre amniotico in cui soddisfare ogni principio di desiderio. Tornare nell’utero, e forse non a caso molti adepti chiamano Google, Madre Google. Tornare nell’utero materno, che poi, in fondo, è come morire della più dolce morte che si possa desiderare. O.K. Google.
cover img from Google’s I/O 2016 developer conference in Mountain View,2016
(Photo credit: Ken Yeung/VentureBeat)
Luigi Saravo