Il Teatro è arte, la tecnologia non lo è
Qual è la relazione tra Teatro e Tecnologia?
Gabriele Lavia ha un ripudio della decantata multimedialità a Teatro e spesso usa parole di fuoco contro di essa.
Giorgio Albertazzi diceva che il Teatro è l’essenzialità della comunicazione, è il luogo dove nulla è necessario se non l’attore, il testo e gli spettatori.
Il Teatro ancora, in linea generale, rimane un luogo dove la Tecnologia attecchisce con notevole difficoltà. Forse perché il teatro è antico di millenni ma sempre all’avanguardia, in quanto non ha bisogno di Tecnologie complesse per riprodurre in 3D o 4K, perché il Teatro… è in 3D e a K illimitati.
I primi spettacoli “tecnologici” ai quali abbiamo assistito in Italia sono stati quelli dei Krypton di Firenze nei primi anni ’90. Luci laser, uso di microfoni a goccia e voci ovattate creavano atmosfere magiche, strane, mai viste prima. Quello colpiva lo spettatore: le atmosfere, le voci, i laser così “innovativi”, ma Il testo, la storia, il senso di quello che vedevi ti sfuggiva come sabbia tra le dita. Effetti sonori e drammaturgia, rappresentazione scenica e laser, non erano connessi tra loro, mostrando fin da subito il pericolo della tecnologia: la tecnologia che mette in scena sé stessa.
Nel corso degli anni si sono ripetuti gli incontri tra Arte teatrale e l’uso di strumenti tecnici (il regista Giorgio Barberio Corsetti ne è il più assiduo frequentatore nostrano) e dai primi laser di 25 anni fa, quest’anno è stato prodotto per la prima volta in Italia, uno spettacolo che ha adottato la proiezione in 3D, “Ungra” di T. Nadoleanu, una storia ambientata nel 4014. Lo spazio scenico, completamente vuoto, viene abitato esclusivamente da attrici e proiezioni che fuoriescono dallo schermo e investono il pubblico fornito di occhiali 3D. Dopo un po’ di stupore iniziale, in sala non c’è entusiasmo, non c’è emozione, perché non c’è un senso narrativo delle proiezioni.
Uno dei pochi che ha creato una proposta seria e credibile di un incontro felice tra Teatro e tecnologia è il canadese Robert Lepage, perché mette lo stupore e le emozioni delle magie visive, al servizio del racconto scenico e non a compensazione del vuoto narrativo.
Nei suoi lavori non è il Teatro che si meccanizza ma è la tecnica che si teatralizza. Un bell’esempio è rappresentato dal suo spettacolo “I sette rami del fiume Ota”, commissionato dal governo giapponese per commemorare il bombardamento atomico americano su Hiroshima. Lepage ha unito l’antica tradizione del Teatro delle ombre giapponese alla tecnologia video che, sovrapponendo sette pannelli trasparenti di spandex sui quali vengono proiettate contemporaneamente immagini video e ombre, produce un dialogo affascinante tra corpi e luce, un dialogo che comunica, in modo chiaro ed emozionante, il senso più profondo della pièce: il legame indissolubile tra Oriente e Occidente e l’impossibilità di cancellare dalla memoria collettiva l’Hiroshima della bomba atomica.
Una branca della Tecnologia sottovalutata, ma che ha inciso parecchio sul Teatro, è quella della Chirurgia estetica. Uno degli esempi più eclatanti lo possiamo osservare attraverso la storica Compagnia del Bagaglino che aveva iniziato con prime donne del calibro di Pat Starke e Gabriella Ferri, poi, adeguandosi alle prime donne “tecnologiche”, costruite dai laser dai bisturi, è passato dalla voce che cattura l’anima della Ferri, alla voce che graffia i timpani di Valeria Marini.
Purtroppo In Italia (ma la situazione è diffusa anche altrove) dietro l’uso della Tecnologia si sono molto spesso nascosti, e si nascondono, coloro che non conoscono gli infiniti codici dell’Arte teatrale e tentano di compensare questo deficit con proiezioni, ologrammi, laser, spazi meta-teatrali, effetti sonori iperrealistici… smarrendo completamente il senso del Teatro, il perché si va in scena.
Probabilmente non è un caso che il drammaturgo italiano contemporaneo più rappresentato nel mondo è Dario Fo, che deve il suo più grande successo a “Mistero Buffo”, una sequenza di monologhi, recitati da un attore solo, al centro di un palco vuoto e… nient’altro!
Il Teatro è Arte, la tecnologia non lo è, anzi il Teatro può considerarsi la tecnologia del sé, dell’attore che diventa laser, proiezione, webcam, caleidoscopio di tutte le trasformazioni possibili e impossibili, perché l’Arte non ha gli enormi limiti tecnici derivanti da schermi, da lampade, da cavi, da hardware, software, il suo limite è il limite del Pensiero umano.
Elio Crifò