Un chatbot per conversare con i morti a firma Microsoft
Esiste un brevetto depositato da Microsoft che descrive come attraverso una serie di algoritmi sia possibile arrivare a generare un chatbot per conversare con i morti.
Un chatbot è un software ideato per simulare un dialogo con un essere umano. Il termine fu coniato nel 1994 da Michael Lauren Mauldin (fondatore di Verbot) per definire appunto i programmi di conversazione. Questa sorta di assistente virtuale è una forma di intelligenza artificiale che, grazie a specifici algoritmi, è in grado di fornire risposte strutturate e pertinenti a determinate domande.
Tra i chatbot più popolari ci sono: Siri, l’assistente virtuale della Apple; Google Now, l’assistente virtuale per Android; e Cortana, il chatbot nato con Windows 10. È a questi assistenti digitali che gli utenti si rivolgono per ricevere informazioni e accedere alle molteplici funzionalità dei loro dispositivi.
Ora The Indipendent fa sapere di aver scovato un brevetto di Microsoft che consentirebbe all’azienda di creare un chatbot utilizzando le informazioni personali delle persone decedute.
Il brevetto descrive la creazione di un bot basato su “immagini, dati vocali, post sui social media, messaggi elettronici” e altre informazioni personali.
“La persona specifica (che rappresenta il chatbot) può corrispondere a un’entità passata o presente (o una sua versione), come un amico, un parente, un conoscente, una celebrità, un personaggio di fantasia, una figura storica, un personaggio casuale, entità ecc. La persona specifica può anche corrispondere a se stessi (ad esempio, l’utente che crea/addestra il chatbot”, come descrive Microsoft, e la cosa implicherebbe che gli utenti potrebbero addestrare un sostituto digitale in caso di morte o estrarre dai dati un’elaborazione in forma di chatbot di una persona deceduta.
La realizzazione di questa ipotesi aprirebbe scenari in cui potremmo chattare con un defunto a noi caro avendo l’impressione che sia effettivamente lui a risponderci con tutte le implicazioni psicologiche del caso.
Sarebbe qualcosa di molto vicino alla realizzazione di un’idea vista innumerevoli volte su romanzi, film o serie tv per poter estendere in modo digitale il contatto con una persona dopo la sua morte.
Dalla simulazione di una personalità via software al trasferimento digitale della coscienza, l’idea di oltrepassare i confini dell’esistenza è già passata da tempo dalla fiction alla realtà. Nel 2005, infatti, Ibm ha avviato il progetto Blue Brain che Mira alla simulazione digitale del cervello umano.
I limiti in questo caso sono però enormi: “Anche solo simulare il comportamento di un singolo neurone è un compito estremamente difficile, per quanto sia già stato approssimativamente fatto. Simulare un intero network di cento miliardi di neuroni interconnessi in complicatissimi pattern va molto oltre le tecnologie a disposizione oggi” come scrive su Aeon il professore di Neuroscienze all’università di Princeton Michael Graziano.
Quindi, al momento, la creazione di bot specifici sembrano essere l’obiettivo più prossimo per intavolare una conversazione con un entità digitale in attesa di poter uploadare in rete una vera e propria replica di un cervello umano.
Seguendo i possibili sviluppi di questa strada rimangono, però, alcune questioni aperte di carattere etico e sociologico ma, come sappiamo, la velocità del cambiamento tecnologico ci porta costantemente in rapporto a nuovi problemi in questo senso.
Il dialogare con i morti fa parte della storia dell’umanità e si raccoglie intorno ai tavolini dei medium come ai rituali di possessione sciamanica. Ora questa tensione all’aldilà si può trovare anche tra le pieghe di un brevetto tecnologico.
Luigi Saravo
E qui potete trovare il compleanno ventennale di Wikipedia